Paghe da operai, contratti a intermittenza e nessuna tutela. Così, la generazione più ricca di titoli della storia d’Italia cammina sul bordo dell’abisso. Il governo promette i primi interventi ma molti hanno gettato la spugna, rifuggono dagli albi e da esistenze precarie. Ecco le loro storie
C’è il cardiochirurgo che ha studiato per niente. Neppure “esercita”, forse mai lo farà. E intanto sbarca il lunario come guardia medica nelle cliniche a lungodegenza, a tariffe da badante. C’è la consulente che si ammala di cancro e si trova a sopravvivere con 13 euro al giorno. Basta poi rialzare lo sguardo per scoprire quanti medici e infermieri camminano sul bordo dell’abisso: lo Stato che li impiega per servizi di continuità offre loro ben poche garanzia di continuare, spesso nulla più di un contratto a partita Iva che oggi c’è, domani chissà. Insieme a loro, marcia nel buio un esercito di professionisti cui la crisi ha tolto le certezze da sotto i piedi: giovani avvocati, commercialisti, notai, informatici e architetti. Mestieri fino a ieri sicuri, ben pagati e socialmente riconosciuti assurti oggi a volto nuovo e duro del precariato professionale che ha spinto tanti verso rapporti “libero-professionali” per costrizione, tra le mono-committenze celate da prestazioni occasionali e false partite iva. Così, la generazione più ricca di titoli nella storia d’Italia vive alla giornata, annaspa tra i debiti e i mancati pagamenti, rimanda i progetti di vita personale. Famiglia-figli, casa-mutuo, auto-rata. Nulla. Nulla è ormai più certo dell’incertezza.
La fotografia del declino è ben descritta nel rapporto dell’Associazione degli enti previdenziali privati (Adepp): in cinque anni gli avvocati hanno perso il 21% del proprio reddito, seguiti da infermieri (-19%) e giornalisti (-12%). Se si allarga lo sguardo agli ultimi dieci anni, la classifica degli impoveriti vede in testa i notai (-38%), poi i biologi, i consulenti del lavoro (-21%) e gli architetti (-17%). Sempre meno soldi, dunque, e sempre meno tutele. A mancare, su tutte, è la malattia, soprattutto in caso di patologia grave. Secondo il rapporto “Vita da professionisti” dell’associazione Bruno Trentin, solo il 7,6% degli autonomi dichiara di non avere problemi di salute dovuti al lavoro mentre due professionisti su tre soffrono di stress, ansia, depressione, insonnia. C’è poco da stupirsi: il 44,5% del campione spiega di avere un sovraccarico di lavoro che eccede le 40 ore settimanali. A giorni una riforma delle professioni autonome promette di estendere le prime tutele a questo esercito di lavoratori. Il testo definitivo ancora non c’è, gli addetti ai lavori già lamentano in quello “base” la mancanza di alcuni tasselli essenziali, come la previsione di un compenso minimo e la questione previdenziale. Altri avvertono che “di regime dei minimi, purtroppo, si muore”. Ma a questo appuntamento, comunque sia, guardano ormai milioni di italiani. Ecco le loro storie.