"Nell’ultimo mese abbiamo lavorato più assiduamente con americani, inglesi e francesi. C'è maggiore preoccupazione, dettata da fattori reali", ha detto al Corriere della Sera il ministro della Difesa. Che un anno fa, il 15 febbraio 2015, in un'intervista al Messaggero affermava che l'Italia era "pronta a inviare fino a 5mila uomini" nella ex colonia
Roberta Pinotti torna a parlare di un possibile intervento italiano in Libia. “Non possiamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo. Nell’ultimo mese abbiamo lavorato più assiduamente con americani, inglesi e francesi. Non parlerei di accelerazioni, tanto meno unilaterali: siamo tutti d’accordo che occorre evitare azioni non coordinate, che in passato non hanno prodotto buoni risultati. Ma c’è un lavoro più concreto di raccolta di informazioni e stesura di piani possibili di intervento sulla base dei rischi prevedibili”. Risponde così il ministro della Difesa al Corriere della Sera sulla possibilità di un intervento in Libia contro l’Isis, spiegando che “c’è maggiore preoccupazione, dettata da fattori reali”.
“Non c’è dubbio – afferma il titolare della Difesa, che il 15 febbraio 2015 in un’intervista al Messaggero affermava che l’Italia era “pronta a inviare fino a 5mila uomini” nella ex colonia – che alcuni sviluppi vadano seguiti con attenzione: alcune sconfitte di Daesh in Iraq possono infatti spingere lo Stato Islamico a fare della Libia un nuovo fronte, mentre si registra il tentativo, spesso più simbolico che di sostanza, da parte dei jihadisti di avanzare verso nuovi territori dalle zone di Sirte e dintorni, dove Daesh è stata finora concentrata. Il tempo sicuramente stringe”.
“Un governo operativo – aggiunge – è indispensabile per evitare scenari come quello sperimentato in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein“. E la coalizione, precisa, “si prepara a fornire il tipo di aiuti che i libici hanno già indicato di preferire: protezione del governo quando si insedierà a Tripoli, formazione e addestramento”. L’Italia rimane in prima fila: “Il ruolo di guida nella missione libica ci viene riconosciuto perché siamo fra i Paesi che hanno qualcosa da dire”.