Tralasciando le considerazioni personali sul tema delle unioni civili omosessuali e, in particolare, sull’adozione, c’è un aspetto della vicenda che merita una se pur minima riflessione.
Questo aspetto riguarda la retorica che viene utilizzata dai promotori del “SI”alle unioni omosessuali e alla stepchild adoption. Una delle accuse che più ricorrono nella propaganda a favore della liberalizzazione è una presunta arretratezza dell’Italia rispetto ad altri paesi, in particolare europei: arretratezza che risiederebbe, stando alle critiche, non tanto nella mancanza di una disciplina della materia, ma nella mancanza della disciplina che una certa parte di paese vorrebbe per la materia. Non viene rimproverato, cioè, il solo fatto di non aver disciplinato le unioni civili, ma di non averle disciplinate attribuendo alle parti il diritto alla adozione, che invece, se si dovesse prestar fede alla propaganda, sarebbe diritto inviolabile in ogni altra parte del mondo, con l’Italia a giocare il ruolo della pecora nera.
Esiste, ed è reale, la necessità di disciplinare in un senso o nell’altro, le unioni civili omosessuali e garantire loro una tutela minima. Quanto al come disciplinarle, invece, sarebbe necessario distinguere tra adozione dei figli del partner e adozione in comune di figli non biologici, distinzione che però porta necessariamente a entrare nel merito della questione, rispetto alla quale una ulteriore presa di posizione in questa sede, favorevole ovvero contraria alle adozioni, nulla aggiungerebbe al dibattito.
Il punto che si vuole qui sollevare sta nel fatto che è l’approccio al problema a essere sbagliato: non si tratta, infatti, di fare una classifica o un paragone tra quanti paesi garantiscono il diritto di adozione e quanti non lo fanno. Si tratta, in effetti, dell’esatto contrario: le differenze nella legislazione dei paesi europei (e non solo) sono tante e tali da non poterne prendere una sola a piacimento e porla come fondamento della tesi secondo cui sarebbe necessario e assolutamente indispensabile adeguarsi a uno standard universale. Soprattutto nel caso, come quello di cui ora si parla, in cui lo standard universale non esiste.
Non tutti i paesi europei, infatti, garantiscono tutti i tipi di adozione per le coppie omosessuali: esse sono tutte riconosciute in tutte le forme Spagna, Francia, Inghilterra e Belgio, per esempio, ma non in Germania, in Svizzera, Croazia ed altre nazioni come Finlandia e Portogallo.
Anche ammettendo, per esercizio puramente ipotetico, il bisogno di adeguare a ogni costo la propria legislazione ad una linea universale o alla normativa di determinati paesi quali la Francia, l’Inghilterra o gli Stati Uniti, allora, coerentemente, bisognerebbe adeguarsi anche sotto altri profili, giusti o sbagliati che siano. La mente va subito, quasi in maniera scontata, alla pena di morte, ancora prevista in quasi la metà degli Stati Uniti: eppure non si ricordano recenti manifestazioni in Italia contro la pena di morte; oppure si può pensare alla tassazione al 75% dei grandi capitali in Francia, ad opera di Hollande: non si ricordano politici che abbiano svolto la campagna elettorale, peraltro vincendola, minacciando una simile imposta per gli stipendi sopra al milione; non si ricordano, poi, provvedimenti severi in tema di sicurezza negli stadi, come invece è avvenuto in Inghilterra; e non si ricordano, da ultimo, recenti proposte di limitare a due mandati l’incarico del Presidente della Repubblica o del Capo del governo, come invece avviene per la presidenza americana.
Si potrebbe poi guardare al modello di altre nazioni riguardo alla legislazione contro la corruzione; corruzione che fa dell’Italia, questa volta sì, la pecora nera dell’Europa. Evidentemente, l’Italia, in alcuni casi a ragione in altri a torto, ha ritenuto di compiere una scelta legislativa autonoma senza condizionamenti esterni. La legge sulle unioni civili omosessuali sarà fatta, colmando giustamente una oggettiva lacuna che caratterizza la attuale legislazione italiana; sarà il frutto di un compromesso politico o, su gentile concessione dei capigruppo in Parlamento, del voto secondo coscienza: ma non dovrà essere il frutto di un passivo inseguimento della altrui legislazione. In altre parole, la legge sulle unioni civili, dovrà avere, in qualsiasi forma essa verrà approvata – e auspicabilmente sottoposta a referendum – il coraggio di sfuggire alla retorica del “in altri paesi civili è così e dobbiamo adeguarci”, senza la paura di provare una via diversa, che non sarebbe per questo non civile.