Interpellanza al ministro dell'Ambiente sui ritardi di intervento in un'area dove, secondo i 5 Stelle, sostanze pericolose come piombo, arsenico, mercurio e benzene che si annidano nei terreni e nelle falde acquifere e dove i residenti vivono tra disagi e timori per la propria salute
Aria irrespirabile. Sostanze pericolose come piombo, arsenico, mercurio e benzene che si annidano nei terreni e nelle falde acquifere. Acqua nera e oleosa che sgorga dai rubinetti delle abitazioni. È quanto accade nei comuni di San Giovanni a Teduccio, Barra e buona parte della periferia orientale di Napoli. Dove i residenti vivono tra disagi e timori per la propria salute.
È la storia di un disastro ambientale iniziato il 21 dicembre 1985 con l’esplosione di un deposito di carburante Agip nella quale persero la vita cinque persone e altre 165 rimasero ferite. E dopo oltre trent’anni di un perverso mix di burocrazia e noncuranza politica, nazionale e locale, in fondo al tunnel non si vede ancora la luce. Tornata ad accendersi, almeno oggi, in Aula alla Camera, dove un’interpellanza del Movimento 5 Stelle ai ministri dell’Ambiente, della Salute e dello Sviluppo economico (primo firmatario il deputato Roberto Fico) ha ricordato gli effetti devastanti sulla popolazione che vive in quelle aree. Al punto che “pur in mancanza di dati e statistiche ufficiali – scrivono i deputati del M5S – si può affermare che l’incidenza dei tumori, anche fra i giovani, nell’area di San Giovanni a Teduccio sia fortissima, oltre qualsiasi ‘ragionevole’ soglia, come del resto qualunque residente della zona ha potuto, per esperienza diretta, constatare”.
RITARDI MORTALI – Una denuncia dettagliata, quella contenuta nell’atto parlamentare, che ripercorre l’intera vicenda. I livelli di inquinamento della zona “hanno determinato l’inclusione dell’area ‘Napoli Orientale’ fra i siti di interesse nazionale (Sin) per i quali sono necessari interventi di bonifica” secondo quanto previsto da una legge del 1998. Senza dimenticare che gli “abnormi livelli di contaminazione delle acque e del suolo sono stati riconosciuti, più recentemente, anche sul piano istituzionale, nell’ambito della conferenza di servizi decisoria propedeutica all’approvazione di progetti di bonifica concernenti il Sin ‘Napoli Orientale’ tenutasi presso il ministero dell’Ambiente il 31 maggio 2013”. Risultato? Nonostante vari accordi di programma fra le istituzioni, come quello sottoscritto il 15 novembre 2007 fra il ministero dell’Ambiente, la Regione Campania e il Comune di Napoli per la bonifica del Sin di Napoli Orientale, “negli anni successivi la progettazione della bonifica” stessa “si incaglia nelle maglie procedurali, fra pareri non espressi e la mancata valutazione d’impatto ambientale relative ai macchinari individuati per la pulizia dei terreni”. A rendere ancor più ingarbugliata la situazione c’è poi il fatto che i progetti “sono oggetto di distinti procedimenti amministrativi in quanto distinte sono le proprietà delle aree e dei depositi da bonificare”. Non è un caso, dunque, che il 23 luglio 2015 il dicastero guidato dal centrista Gianluca Galletti abbia approvato, con decreto, il ‘Progetto definitivo di bonifica dei suoli dei siti di proprietà Kuwait (37 ettari e occupati per la maggior parte da strutture industriali inattive, ndr) a Napoli’. Non senza forti preoccupazioni da parte dei residenti.
ANDAMENTO LENTO – Infatti, proprio per quanto riguarda l’area della Kuwait (Q8), un’inchiesta della Procura di Napoli “ha ulteriormente alimentato la grave preoccupazione dei cittadini per la propria salute”. Gli inquirenti hanno disposto il “sequestro preventivo di 240 milioni di euro equivalente al vantaggio economico che l’azienda petrolifera avrebbe tratto dal mancato rispetto delle norme in materia di smaltimento delle acque oleose”. Il cui smaltimento sarebbe stato trattato “in modo difforme dalle prescrizioni di legge”. Secondo gli investigatori, ricorda l’interpellanza, “le acque utilizzate per il lavaggio delle linee di importazione di benzina” venivano “trasferite in modo improprio da un serbatoio all’altro, trasformandosi esse stesse in un rifiuto liquido pericoloso che avrebbe dovuto essere smaltito nei modi stabiliti dalla legge e dunque attraverso un processo più oneroso”. Ma cosa sta facendo il governo? “La Sogesid (società nata nel 1994 come concessionaria di impianti di depurazione in Campania, ndr) è stata incaricata di effettuare la progettazione degli interventi relativi alla falda acquifera del Sin di Napoli Orientale con un progetto unitario che tenga conto anche degli interventi di messa in sicurezza già in atto o da attuare predisposti dalle aziende insediate nel Sin”, ha spiegato oggi in Aula alla Camera la sottosegretaria all’Ambiente, Silvia Velo, in risposta al M5S. “Il progetto definitivo degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e bonifica della falda acquifera – ha proseguito la sottosegretaria – è stato trasmesso dalla Sogesid nel settembre 2015 e discusso nella conferenza dei servizi istruttoria dal 7 ottobre successivo e nella riunione tecnica del 2 novembre 2015. Si resta in attesa delle integrazioni richieste in tali sedi ai fini dell’approvazione del progetto nella prossima conferenza dei servizi decisoria utile”. Una risposta che Fico ha però accolto con perplessità. “Il problema – ha detto – è che a me sembra che non si voglia affrontare di petto e fino in fondo questa situazione, che è molto più grave dell’azione lenta che questo governo sta facendo”.
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