Fu l’attore più muto di tutti i muti, il viso pallido e impassibile di fronte ad ogni catastrofe, amato e dimenticato da quella Hollywood che lo elevò tra i più grandi degli anni ventie poi lo ricacciò come un arnese inutile con l’avvento del sonoro
The Great Stone Face. Il 1 febbraio di 50 anni fa moriva Buster Keaton dopo una lunga carriera di successi, cadute, incomprensioni, rinascite. Keaton, l’attore più muto di tutti i muti, il viso pallido e impassibile di fronte ad ogni catastrofe, amato e dimenticato da quella Hollywood che lo elevò tra i più grandi degli anni venti (The General e Sherlock Jr. i suoi successi ‘muti’ più incredibili) e poi lo ricacciò come un arnese inutile con l’avvento del sonoro. Travagliata e bizzarra la vita di Keaton, nato nel Kansas il 4 ottobre 1895, all’anagrafe Joseph Frank, diventato subito “Buster”, qualcuno di incontrollabile che distrugge e mai viene distrutto.
Perché Keaton fin da bimbo, nel girovago vaudeville comico di mamma e papà, finì per essere il soggetto maltrattato, riempito di schiaffoni e calcioni, piedi all’aria per davvero dopo voli di metri. Tutto a favore di scena e di pubblico, con tanto di leghe dei diritti dei fanciulli a tentar di bloccare gli spettacoli e Houdini a complimentarsi con papà Keaton. L’origine della risata del muto di quegli anni, la nascita della maschera imperturbabile di Keaton anche di fronte al disastro più incredibile, nasce in mezzo al popolo, sulle strade, nei primi anni del Novecento. “Ero uno straccio umano, mi tiravano calci in faccia”, spiegò con gran divertimento nella sua autobiografia del 1960 poi edita da Feltrinelli, Memorie a rotta di collo, nel 1995. E nel raccontarsi nel libro l’uomo e l’attore si fondono, facendo percepire il peso della materia in scena contro cui combatté metaforicamente l’uomo. Quando nel 1917 Keaton conosce il popolarissimo comico Roscoe Fatty Arbuckle che lo invita a recitare gag con lui per il cinema, ecco subito sacchi, verissimi e pesanti, di farina che gli finiscono in testa e in faccia.
“La sua è una storia di sopravvivenza di fronte ad ostacoli enormi”, spiega Cecilia Cenciarelli, responsabile del Progetto Keaton della Cineteca di Bologna dove si è portato a termine il restauro dei primi due titoli – One Week e Sherlock Jr. – di una lunga filmografia d’attore e regista. “A differenza di Chaplin, Keaton si rapportava ad oggetti fisicamente enormi: navi, case, treni. Poi attraverso una sua poetica onirica costruiva narrativamente i suoi film”. Il periodo d’oro keatoniano, sotto la lente del Laboratorio dell’Immagine Ritrovata di Bologna, tanto che per l’edizione 2016 del Cinema Ritrovato è prevista la proiezione di altri cinque film restaurati del nostro, è quello tra il 1921 e il 1929, quando Keaton diventa regista, sceneggiatore e attore nei film prodotti dal cognato Joe Schenck. “Leggenda vuole che Keaton fosse curiosissimo sulla macchina cinema a livello tecnico e meccanico. Si narra infatti che durante i primi film girati nel 1918 una notte si svegliò, smontò e rimontò una macchina da presa per capire come fosse fatta. È l’epoca dei classici The General e Sherlock Jr, ma anche di un capolavoro come The Playhouse (1922), ma soprattutto di One week (1920) con quella casa sbilenca e irregolare da costruire che Keaton smonta e rismonta come fosse, chissà, per davvero quella cinepresa osservata nei minimi dettagli pochi anni prima.
Keaton fu dimenticato presto, messo all’angolo dall’avvento del sonoro, nel 1932 licenziato dalla MGM, divorziò dalla prima moglie, cadde nella spirale tragica dell’alcolismo. Solo nel 1949, dopo terrificanti particine in film inguardabili, costanti comparsate mute in titoli hollywoodiani come fosse un signore qualunque, fu James Agee con un lungo articolo su Life Magazine pubblicato a riscoprirlo assieme ad altri grandi del muto. “Il suo cinema sembra una sorta di giocoleria trascendentale. Sembra che l’intero universo si muova eccetto il suo viso”, scrisse Agee. “Un espressione impassibile, quasi da sonnambulo – spiega Cenciarelli – amatissimo dai surrealisti, usato straordinariamente nell’unico film di Samuel Beckett – Film (1965)”. Nonostante l’entusiasmo di Agee, il declino fu comunque triste e solitario. Chaplin lo volle per Limelight (1952) per un paio di sequenze comiche d’antologia, prima ancora fu giocatore muto di carte al tavolo di Viale del tramonto (1950), fino a Due Marines e un generale (1965) girato mentre si trovava in Italia. Il film diretto da Luigi Scattini e interpretato da Franco e Ciccio, è sì qualcosa di dimenticabile, con i due marines americani pasticcioni e Keaton generale nazista che li prende in simpatia, ma ha un finale, paradossalmente, di una delicatezza inarrivabile, che sembra chiudere un’intera carriera. Dopo che per tutto il film l’attore americano, oramai malato, se n’è stato in silenzio senza aver mai pronunciato una battuta, si gira verso i due commilitoni che lo fanno fuggire e recita un timido “Grazie”.