Per la terza volta in dieci anni i difensori della famiglia tradizionale tentano di bloccare una legge sui diritti delle coppie omosessuali. Obiettivo dichiarato: "Rallentare il percorso del ddl Cirinnà e pesare sull'iter del disegno di legge". Se il Circo Massimo sarà pieno, il Pd non forzerà la mano sugli emendamenti e tutto il ddl potrà slittare e impantanarsi. Così la piazza di oggi diventa il termometro per le scelte del governo e per il riconoscimento dei diritti civili nel Paese
L’esercito del Family Day è in marcia. Oggi, per la terza volta in dieci anni, tenterà di sventare il riconoscimento delle unioni civili rivendicando il primato della famiglia tradizionale. Con Italo Treno e lo sconto, in pullman o in autostop poco importa: tra una manciata di ore confluiranno al Circo Massimo le tante anime del variopinto popolo che sfila contro il ddl Cirinnà, atteso martedì alla prova dell’aula. Raduno dalle 12 e svolgimento dalle 14 alle 16.30, niente più cortei fino in piazza San Giovanni che gli organizzatori ritengono troppo piccola per contenere il milione di persone che sperano di mobilitare grazie alle associazioni, ai movimenti cattolici e alla campagna della Conferenza episcopale, soverchiante rispetto al profilo defilato del Pontefice. Qualche motivo di ansia per gli organizzatori però c’è, tra defezioni, presenze ingombranti e quel tratto distintivo dell’evento che incrocia etica privata, morale pubblica e ragion politica. E vai a sapere, ogni volta, l’effetto che fa. L’edizione di sei mesi fa in piazza San Pietro, per dire, strombazzava un milione di presenze e furono 400mila. Ma contribuirono a impaludare il vecchio ddl Cirinnà in Senato, poi ripescato per spedirlo direttamente in aula.
Le presenze di oggi, dunque. Sul sito ufficiale della manifestazione l’elenco delle “adesioni istituzionali” è vuoto: “Pagina in aggiornamento”, si legge. Ma è una dicitura ingannevole perché il toto-adesioni si rincorre da giorni. In prima fila le associazioni di sempre: Non si tocca la famiglia, ProVita, Giuristi per la Vita, Comitato Articolo26 e i neocatecumenali. Alcuni pezzi dell’artiglieria pesante invece avanzano di lato o arretrano. L’azione cattolica e Cl, su tutti, hanno aderito senza appoggiare formalmente l’evento, lasciando liberi di partecipare o meno i propri associati. Era successo anche il 20 giugno 2015, segno forse del poco interesse a incoraggiare l’effetto referendario su un esecutivo a trazione catto-scoutista come quello renziano. Sembra lontanissima – del resto – l’edizione 2007 in cui i berlusconi-boys tentavano con la piazza la spallata al governo Prodi. Quello attuale, del resto, ricambia la cortesia: ha rimandato il voto al 2 febbraio e non per caso, ma proprio per vedere quale impatto avrà la manifestazione di oggi. Se la piazza sarà tiepida, il Pd forzerà la mano per saltare gli emendamenti e approvare la legge. Se – al contrario – sarà strapiena, ripiegherà su più miti consigli. Così la piazza di oggi diventa il termometro per le scelte politiche del centrosinistra. Non è dietrologia ma il progetto dichiarato del promotore della manifestazione, Massimo Gandolfini: “Il rallentamento del percorso del ddl Cirinnà, con la prima votazione martedì prossimo, rende ancora più determinante il risultato della nostra manifestazione, che non potrà non pesare sull’iter del disegno di legge”.
C’è poi il fronte della politica nella politica, cioè quello tutto interno al Pd e al governo. Da giorni si segnano le presenze come punti al pallottoliere del ddl sulle unioni di civili. Con particolare attenzione, ovviamente, a pezzetti rilevanti dell’area cattolica. Se il fronte dem si frantuma, se si riapre la vecchia ferita tra cattolici e laici, non c’è soccorso che tenga. Alfano l’ha detto: non ci va, non sulle proprie gambe “perché ministro”. Fa sapere però che ci va con il cuore. Molti alfaniani ci andranno con tutto il corpo, pur tenendo il piede nel governo. Ad esempio la portavoce nazionale del Nuovo Centrodestra, Valentina Castaldini, che ieri ha esortato colleghi e sostenitori di partito a marciare al Circo Massimo. E’ da vedere quanti risponderanno oggi, dopo che il governo ha concesso un’infornata di poltrone al partito di Angelino, compreso un ministero per gli Affari Regionali “con delega alla famiglia”. Non è dato sapere se Enrico Costa sarà in piazza. Ce n’è però un altro, Giuseppe Galletti, che ha rivendicato la libertà di dissentire dal disegno (di legge) del suo stesso governo. Al suo fianco Beppe Fioroni. Mancano quelli del “vorrei ma non posso”, ala cattolica: Rosy Bindi, Franco Monaco, Francesco Garafani ed Ernesto Preziosi, quest’ultimo promotore del documento dei parlamentari cattodem per lo stralcio della della stepchild adoption. Assenze giustificate dall’esigenza di evitare tensioni nel Pd, soprattutto dopo la riunione che in Senato ha dato l’ordine di scuderia sul voto favorevole e unanime all’impianto del ddl Cirinnà. Per la categoria opposta dei “non posso ma voglio”, si segnala Antonio Tajani, vicepresidente del Parlamento europeo.
Tra i centristi hanno dato l’adesione o comunque il loro sostegno Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella e ancora il presidente del Comitato parlamentari per la famiglia Alessandro Pagano, Rocco Buttiglione, Lorenzo Cesa, Paola Binetti, Gianpiero D’Alia, Angelo Cera, Giuseppe De Mita e Antonio De Poli. Tra i fuoriusciti, Gaetano Quagliariello, fondatore di Idea, chiederà il voto segreto in aula sul ddl Cirinnà, ma ha già dichiarato ufficialmente di voler partecipare al Family Day. Forza Italia e Lega saranno in prima fila ma senza leader, viste anche le biografie da divorziati di Berlusconi e Salvini. A dare tutte le sfumature possibile arrivano, non ultimi, quelli di Casa Pound e Forza Nuova. E’ stato Roberto Fiore in persona ha rivendicare per l’estrema destra il diritto a difedenre “la legge divina e naturale” dall’attacco di un ordine “radicalmente immorale e rivoluzionario”. Parole che sono andate di traverso a Gandolfini, presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli”, promotore del Family day. Di fronte all’adesione convinta dell’estrema destra xenofoba, ha risposto con un certo imbarazzo e ha spiegato come le adesioni di questi gruppi non sono ufficialmente arrivate al comitato e di non condividere le loro “modalità d’azione ed espressione”. Nulla più di questo. Anche una testa rasata, del resto, fa numero.