Obama torna a tirare Renzi per la mimetica. Lo rivela il New York Times , secondo il quale il segretario alla Difesa Usa Ash Carter a dicembre avrebbe scritto alcune lettere di esortazione agli alleati della coalizione per spingerli ad un impegno maggiore contro l’Isis.
La lettera inviata al ministro della Difesa Roberta Pinotti dice: “Apprezziamo profondamente l’impegno dell’Italia nella lotta allo Stato Islamico tuttavia c’è ancora molto lavoro da fare”. Anche la scorsa settimana, a Parigi, Carter ci metteva in guardia: “Tutte le nazioni devono venire preparate a discutere maggiori contributi alla lotta”. Mentre giovedì sera il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest sembrava aver già deciso per noi: “Paesi come l’Italia hanno esperienza in quella parte del mondo. E noi attingeremmo alle loro risorse, le loro capacità, per portare avanti i nostri obiettivi in quella regione”. Un pressing incessante.
L’incontro probabilmente decisivo per ridiscutere l’intensità della partecipazione alla coalizione avverrà il mese prossimo a Bruxelles. Ad oggi va dato atto a Renzi – e questo giornale l’ha fatto – di “non essersi lasciato trascinare dalla fregola guerrafondaia di chi bombarda” (Travaglio nel suo editoriale del 3 dicembre 2015). Ma ipotizziamo che l’alleato americano si mostri convincente anche con Renzi, avendo gioco facile col ministro Pinotti da sempre sul piede di guerra (recentemente al Corriere della Sera ha detto che “Non possiamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo”) e col ministro degli esteri Gentiloni che già un anno fa diceva che eravamo “Pronti a combattere, in un quadro di legalità internazionale”.
In questo caso, andare in guerra, quali conseguenza avrebbe in termini di consenso per il Governo? Specialmente in vista di un referendum sulle riforme che è diventato un referendum sul suo esecutivo, Renzi può permettersi il rischio di iniziare una guerra?
Dopo l’attentato di Parigi, l’istituto Euromedia Research ha presentato, durante la puntata di Ballarò dedicata al tema, un sondaggio sulla volontà degli italiani di partecipare attivamente alla guerra contro l’Isis. Il 40,6% si è detto contrario a qualsiasi tipo di intervento militare. Mentre il 32,4% riteneva che l’Italia avrebbe dovuto partecipare a un intervento di terra. Il 12,5% era d’accordo alla nostra partecipazione, ma solo ai bombardamenti. Il 14,5% era indeciso.
Vista così, un’intensificazione delle azioni nella coalizione anti Isis sarebbe una sciagura per Renzi. Ma è qui che la comunicazione politica entra in gioco.
Come giustificare una guerra non voluta?
Da sempre i governi che si trovano nella necessità o nella voglia di fare scelte impopolari usano tecniche di comunicazione politica per invertire l’opinione pubblica in proprio favore.
Il potere delle notizie. Pensiamo al caso recente di Colonia. La Merkel è diventata persona dell’anno 2015 per il Times grazie alla sua politica di accoglienza sull’immigrazione, ma nel giro di una settimana, dopo le molestie di massa da parte di immigrati a Capodanno, erano tutti d’accordo nell’inasprire i criteri per le espulsioni. In questo modo la Germania ha potuto fare un passo indietro rispetto a un’accoglienza che alla lunga sarebbe stata insostenibile. Basta un singolo evento, una notizia mandata sui media con il giusto taglio, ad invertire l’opinione pubblica.
Ovviamente le notizie possono essere anche prodotte ad arte (a proposito, non vi sembra strano che in un Paese come la Germania, con la massima allerta per il pericolo attentati, e proprio a Capodanno si riesca ad organizzare un’azione violenta coordinata, privi di mezzi avanzati e via telefono, senza esser beccati in tempo?).
Quando la notizia viene creata ad arte siamo di fronte allo schema problema-reazione-soluzione. Si crea un problema, si suscita una prevedibile reazione da parte dell’opinione pubblica, si presenta una soluzione a caldo. La quale, sulla scia dell’emotività, è spesso drastica.
Come potrebbe fare Renzi per farci digerire una guerra?
Con le giuste mosse, per il governo italiano potrebbe essere facile invertire l’opinione pubblica a favore di un intervento più intenso in Libia. Basta basarsi su alcuni dati per delineare la strategia comunicativa. Prima degli attentati di Parigi, un anno fa, lo stesso istituto della Ghisleri, Euromedia Research, aveva effettuato un sondaggio su un intervento militare contro l’Isis, specificamente in Libia. Allora il 52,5% degli italiani era favorevole a un intervento dell’Esercito italiano. I più favorevoli erano proprio gli elettori del Pd, per il 66,6%.
Perché dopo gli attentati di Parigi la voglia interventista degli italiani è calata? La strage di Parigi, le cui motivazioni rivendicate sono riconducibili proprio alla partecipazione attiva della Francia nella guerra all’Isis, ha fatto pensare agli italiani che un atteggiamento moderato ci tenesse più al sicuro da attentati. Invece l’alta percentuale dei favorevoli alla guerra era stata rilevata a seguito di minacce dirette all’Italia da parte del Califfato, “siamo a sud di Roma”. Solo forti minacce, non stragi.
Ricapitolando: dopo Parigi abbiamo provato l’emozione paralizzante della paura. Un anno fa, dopo le provocazioni dell’Isis, abbiamo invece provato l’emozione eccitante (che stimola all’azione) della rabbia. Facendo uso di queste informazioni il governo ha un solo modo per convincerci ad entrare in guerra dunque: farci arrabbiare. Ecco come funzionano le emozioni nella comunicazione politica. La suspense blocca. E’ quella sensazione che viviamo ogni giorno quando prendiamo la metro. La rabbia invece stimola l’aggressività. Questo sentimento nasce da solo – e i parigini purtroppo lo sanno bene – a seguito di attentati. Ma se un governo volesse produrlo artificiosamente avrebbe altri metodi meno costosi in termini di vite umane per farlo. Anche se in passato probabilmente non ci si faceva di questi problemi.
La notizia di un attentato che non ha creato vittime per pura coincidenza, come una bomba in una scuola, inesplosa per un difetto, potrebbe farci cambiare opinione velocemente. O un grande e articolato attentato, con mappe di luoghi a noi familiari mostrate sui media, sventato grazie alla confessione di un jihadista pentito (non grazie ai nostri servizi segreti, altrimenti ci sentiremmo al sicuro) ci toccherebbe da vicino, facendoci arrabbiare.
Non so se Renzi sia così spietato da usare tecniche del genere. Ma se credete che questo tipo di manipolazione dell’opinione pubblica sia fantascienza, allora siete pronti per essere manipolati. Al contrario, riconoscendo che queste tecniche esistono e vengono usate da sempre da governi in tutto il mondo, potrete riconoscerle mentre vengono usate contro di voi ed essere immuni al controllo mentale.