Pochi libri usciti negli ultimi tempi possiedono una forza narrativa, un coraggio stilistico e una lingua così vivida come questo “Marta la sarta” dell’abruzzese Valentina Di Cesare (edizioni Tabula Fati), in procinto di essere tradotto anche all’estero. Letteratura adamantina e di sostanza, nel senso che ti prende seduta stante per trasferiti in un’incredibile sequenza di Altrove.
Romanzo filosofico, divertente e di formazione, in “Marta la Sarta” non correresti poi mai il rischio di annoiarti perché il tono generale intonato all’esprit del realismo magico sudamericano o francese (da “L’eleganza del riccio” a “Il favoloso mondo di Amélie”) viene spezzato di continuo da impennate di humour (psicologico o di costume) al vetriolo, e da rallentamenti esistenzialistici in cui si pronunciano domande universali e si osano risposte rotonde e plastiche, e per di più plausibilissime. E poi monologhi interiori degni di un redivivo David Foster Wallace; circoli degli ufo e festival internazionali della perturbazione artistica e dei cani metallari; un cane rapper, che sublima nel flew hip-hop la sua febbre d’amore non corrisposto; “più Walter per tutti” e la compagnia per le autonomie sentimentali indipendenti; dipendenze compulsive da champagne e solitudini divoranti che non si incontrano.
Protagonista della storia è Marta, “da ventitré anni puntuale commessa della merceria Pizzetti“, un personaggio senza tempo “che ha sempre fame ed è golosa di caramelle, le piacciono le cose colorate, i fili, i gomitoli, i vestiti, i bottoni, va forte con le sciarpe e i centrotavola, le piacciono pure molto le telenovele sudamericane e le insegne commerciali” e ama “le persone: è come vedere tanti piccoli specchi che ti camminano vicino”. Intorno a Marta danzano con leggiadria altri personaggi di spessore e a più dimensioni, giammai tagliati con l’accetta: da Nonna Bice (l’importanza della tradizione) a Pueblo, un fricchettone che sogna il mondo e se ne va dal paese e però sempre al paese pensa, in base a quello che potrebbero pensare di lui dal paese agisce; da Iole Pizzetti, moglie che si fa concubina di suo marito scappato a Maracaibo, a Nunzia Asolani Pitonello, macerata imprenditrice di successo. Fermo restando che “Nulla è più caduco dell’umanità intera, eppure a ogni bivio, a ogni punto interrogativo, ci sentiamo sempre assoluti, sempre definitivi”. E che i ricordi, che cosa meravigliosa, “sono come i bottoni: tengono unite le cose”. E “linee infinite di problemi e di angosce seminate minuziosamente in fila come ceci sono schierate in tutte le menti del mondo”. E dire che basterebbe così poco per essere felici, ci suggerisce Marta: per esempio, guardando il mondo senza pregiudizi, con sguardo libero e con incanto.