Il mercato della musica in questo ultimo ventennio ha subito profondi e complessi cambiamenti causati dalla diffusione di nuove tecnologie informatiche e relative tendenze di consumo nonché dall’affermazione di rivoluzionari modelli di business. La cosiddetta distruzione creativa, o creatrice, si verifica quando qualcosa di nuovo entra nel mercato sostituendo interamente il vecchio.
L’esempio più chiaro e riconoscibile nel mercato musicale è il continuo affermarsi di nuovi device, o supporti, a scapito di quelli già esistenti: con vinile negli anni 70, seguiti da musicassette negli anni ’80 e, a loro volta sostituiti da Cd negli anni ’90. L’evoluzione dell’industria musicale non si è fermata lì, e a partire dalla fine del ‘900, il computer ed Internet hanno agito come catalizzatori di distruzioni creative, consentendo alle aziende di competere a livello globale, raggiungere più clienti, creare efficienze, ridurre i costi e sperimentare nuove modelli di business. Nasce in questi anni la distribuzione digitale della musica. Questo evento cambierà radicalmente il rapporto tra gli artisti, case discografiche, negozi di musica di vendita al dettaglio e consumatori, contribuendo a importanti variazioni nel consumo di musica, con un impatto devastante sui mercati, e sui fatturati delle principali etichette discografiche. Come si evince facilmente dalla tabella seguente, emerge che i ricavi annui dell’industria hanno subito una contrazione superiore al 45% nel periodo 2001- 2013 passando da 27,6 miliardi di dollari nel 2001 ad 15 alla fine del 2013.
Il declino assoluto nei ricavi è dovuto alla proporzionale diminuzione del volume delle vendite del Cd (compact disk), al tempo considerato il principale supporto musicale. Il dato della diminuzione del fatturato è però in controtendenza rispetto alla domanda, sempre crescente, di contenuti musicali. Ciò che è mutato è il modo in cui la musica viene utilizzata; sono sempre più frequenti l’utilizzo di piattaforme streaming (sia legali che non) che hanno di fatti ridotto notevolmente i margini delle industrie discografiche. La tendenza a fruire in modo gratuito (e spesso non legale, andando contro al copyright) si sviluppa quando si inizia a delineare quella che sarà la nuova tendenza tra i gli appassionati di musica di tutto il mondo: “perché pagare, e pure tanto, per qualcosa che si può avere gratis ?”. Gli strumenti per ascoltare la musica, un tempo semplici e consolidati, come il giradischi, il registratore a cassette e la radio, vengono sostituiti da una miriade di ricevitori e riproduttori diversi, smartphone, lettori mp3, tablet e computer, ricevitori internet e satellitari, accanto agli ancora presenti cd e ad una quota seppur piccola di vinile. Una frammentazione che ha spinto sempre di meno verso l’acquisto e il possesso della musica e, negli ultimi tempi, sempre di più verso quella che Jeremy Rifkin aveva saggiamente definito qualche anno fa “l’era dell’accesso”.
È il ritorno del “singolo”; la tendenza che ha segnato gli anni d’oro della musica quando la gente ancora custodiva avidamente i vinili dei propri idoli. Spetta poi all’individuo comporsi autonomamente la propria playlist mettendo insieme i migliori singoli in base ai propri gusti e all’uso che si intende farne.
La nascita di Spotify e Deezer con un nuovo modello di business ha certamente contribuito a creare una win-win strategy, portando vantaggi a tutti i players; le Majors hanno introiti derivanti dall’ascolto di file musicali (seppur più bassi rispetto ai margini precedenti), gli utenti possono ascoltare la musica in maniera legale ed a prezzi contenuti, e i Distributori hanno assicurato lo sviluppo di un modello legale per conseguire dei profitti. Dallo studio dei Facts di Spotify relativi all’anno 2014, gli utenti paganti ammontano a circa 10 milioni, con circa 40 milioni di utenti free. Sin dal suo lancio, Spotify ha contribuito a versare ai detentori dei diritti sulle canzoni $1 miliardo, fondi che sarebbero stati persi attraverso la pirateria (Spotify, information, 2014).
Nell’ultimo anno i download della musica sono in calo dell’8%, esattamente come i supporti fisici. Gli abbonati nel mondo sono circa 41 milioni (nel 2010 erano 8), e da solo lo streaming vale il 23% del mercato. Attualmente anzi, col 46 per cento i numeri certificano il pareggio nella musica tra digitale e fisico: cd e vinile ora hanno lo stesso valore di streaming e download, sul mercato mondiale. Dopo anni di salita dell’uno e discesa dell’altro, il pareggio si è finalmente concretizzato nel 2014, in attesa del sorpasso definitivo: lo testimoniano i dati ufficiali del Digital Music Report, annuale studio dell’Ifpi, ovvero la International Federation of the Phonographic Industry, l’associazione di che riunisce le varie confindustrie della musica: la Riaa in America, la Bfi in Inghilterra, la Fimi in italia, etc.
I dati del rapporto parlano di un mercato della musica sostanzialmente stabile, con una flessione generale dello 0,4% a livello mondiale, per un valore di 14,97 miliardi di dollari. Il digitale, da solo, è cresciuto del 6,9%, arrivando a valere 6,9 miliardi di dollari, ovvero il 46% del totale: la stessa cifra dei supporti fisici che per la prima volta della storia della musica registrata scendono sotto il 50% del valore di mercato.
A suo modo, è un passaggio storico: il digitale ha avuto un effetto dirompente sulla musica, eppure non ha ancora spazzato via i vecchi supporti, con paesi come la Germania dove il cd vale ancora il 70% del mercato. In Francia vale il 57%, in Giappone addirittura il 78%. In Italia vale il 61%.
Mentre la percezione comune del settore musicale coincide spesso con le vendite di album, sia fisici che digitali, queste rappresentano letteralmente soltanto la punta di un iceberg complesso ed articolato che conta per il 9% del valore dell’industria culturale. Pensiamo ad esempio a discoteche e piano bar, dove intorno alla musica gravitano numerose attività che fanno totalizzare ricavi per circa 1,1 miliardi di euro. Oppure alla musica dal vivo, che con le esibizioni negli stadi di grandi interpreti ha assistito ad aumenti notevoli sia del numero di spettacoli (+26% in un anno) sia degli incassi (+30% in due anni). Elemento comune è il ruolo fondamentale del diritto d’autore: dei 563 milioni di euro raccolti da SIAE, il settore Musica è quello che genera più risorse, con circa l’80% del totale.
Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia