Ogni anno l’umanità produce ben 290 milioni di tonnellate di rifiuti derivanti da plastica. Gli scarti che oggi galleggiano nell’oceano – la cui degradazione richiederebbe circa 1000 anni – potrebbero costituire un’isola grande come la Sicilia. Allo stesso tempo in Europa produciamo circa 28 milioni di tonnellate di scarti vegetali (circa il 10% di quelli prodotti a livello mondiale).

La soluzione? Produrre plastica utilizzando gli scarti del caffè, prezzemolo e Cannella. Fantascienza? Niente affatto. La soluzione è a portata di mano ed è stata trovata dai ricercatori del gruppo Smart Materials dell’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova, guidati da Athanassia Athanassiou. L’innovazione permetterebbe di aprire nuova e inattesa frontiera ed entrare in un mondo in cui gli scarti delle lavorazioni non solo sono ricuperati per intero, ma anzi sono riutilizzati per applicazioni che a loro volta consentono di ridurre il consumo di materie prime e l’inquinamento.

Dalle verdure alla plastica. Il procedimento è semplice: gli scarti di caffè, prezzemolo e cannella – se ne potrebbero usare anche altri – vengono trattati con solventi che evaporano durante il processo e possono essere recuperati o vengono processati con altri polimeri biocompatibili. Il risultato è che questa materia si rende malleabile, pronta per diversi usi, esattamente come i polimeri derivati oggi dal petrolio. Con la differenza che qui stiamo parlando di una materia completamente biodegradabile. Gli utilizzi potenziali sono molteplici, perché tutto dipende dai vegetali usati e dalle nanoparticelle con cui questi vengono arricchiti. In questo modo si possono ottenere plastiche con proprietà antiossidanti e antimicrobiche oppure sterili.

Un materiale 100% green, che in più potrebbe consentire di risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti biologici. In un futuro non troppo lontano si potrebbe arrivare alla realizzazione di contenitori per alimenti anch’essi commestibili. Un mercato potenziale enorme. Ora tocca all’industria compiere il passo successivo per la produzione.

Ce ne parla Roberto Cingolani, direttore scientificio dell’IIT di Genova.

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di Matteo Ponzano

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