Hai vinto Champions, scudetti e coppe di ogni genere. Ammirato giocatori del calibro di Van Basten, Weah e Shevchenko. Avuto alle dipendenze i migliori allenatori sulla piazza, da Sacchi ad Ancelotti, passando per Capello. Ma alla fine di un derby in una fredda sera di gennaio ti ritrovi a partecipare, tuo malgrado, alla standing ovation per Keisuke Honda, per mesi oggetto degli strali di stampa e tifosi. E a dover fare i complimenti ad un tecnico, Mihajlovic, che proprio non ti è mai piaciuto. Il Milan-Inter di Silvio Berlusconi è tutto in quell’applauso stentato, nel sorriso tirato di una foto di gruppo venuta poco bene.
Scatto di una serata felice in un presente che regala poche gioie, con un pizzico di malinconia per un passato lontano. Il derby sancisce la crisi dell’Inter e rilancia i rossoneri nella corsa al terzo posto, obiettivo minimo per entrambe le milanesi. Che fosse una partita cruciale per entrambe lo si diceva da giorni. E tu, presidente – unico vero patron rimasto alla Scala del calcio, visto che il numero uno nerazzurro, Thohir, vive dall’altra parte del mondo e di pallone s’interessa in maniera intermittente – sei sugli spalti a presenziare. A fare il tuo dovere, onorare il tuo ruolo. Anche se l’entusiasmo e l’energia non sono più quelli di una volta. Come darti torto, d’altra parte. Il Milan era un gioiello, simbolo della tua indole vincente, della tua grandeur imprenditoriale.
Adesso è una squadra operaia che mette un po’ tristezza. Non che dall’altra parte del Naviglio se la passino poi troppo meglio, nonostante le illusioni d’inizio stagione. Ma per questo il confronto diretto è ancor più deprimente. Tanti errori, passaggi sbagliati, confusione. I rossoneri ci mettono cuore e ordine, non è poco e basterà per stravincere. Ma lo spettacolo è quel che è. Per rompere l’equilibrio ci vuole una zuccata di Alex, centrale lento ed irruente, antieroe per eccellenza. Ce ne sono tanti in questo derby. Da Honda a Montolivo, rinati dopo esser stati per due anni capri espiatori del non gioco rossonero. Soprattutto Kucka, medianaccio slovacco, autentico dominatore del centrocampo per manifesta inferiorità di avversari (e compagni). Li guardi, li applaudi ma non puoi non ripensare a quello che è stato. Al Milan degli olandesi Gullit e Rijkaard, ma anche più modestamente ad Ambrosini e Gattuso.
Al gol del vantaggio Galliani, scudiero di mille trionfi, urla e ti dà di gomito come ai tempi della Champions di Manchester e Atene. Le telecamere ti fissano e proprio non puoi esimerti dall’abbozzare un’esultanza. Al rigore sbagliato di Icardi alle spalle hai Matteo Salvini, che ha la metà dei tuoi anni ma politicamente oggi conta più di te, e ti ruba la scena rivolgendo ripetutamente il gesto dell’ombrello alla curva interista. Sul 2-0 di Bacca, l’unico vero fuoriclasse di una squadra mediocre per cui valeva pena la spendere 30 milioni anche in piena crisi, un mezzo sorriso ti scappa per davvero. Finisce addirittura in trionfo. È la rinascita del Milan e la rivincita di Mihajlovic.
Non tua, perché questa squadra che sta imparando a cavarsela con la forza dell’abnegazione e l’arma del contropiede, a te, esteta del bel “giuoco” e del calcio d’attacco, proprio non può appartenere. Infatti nelle poche parole che ti strappano ai microfoni c’è sempre freddezza, un certo distacco: “Questo il vero Milan? Dovrebbe essere anche meglio”. “Bravo Mihajlovic? Gli allenatori vivono di risultati”. Alla fine ti tocca pure il selfie presidenziale con giocatori e staff, da sparare in tempo reale sui social. In cui non vieni più smagliante ed impettito come ai tempi d’oro, ma con gli occhi chiusi e la smorfia asimmetrica delle persone poco fotogeniche. Ma a quasi ottant’anni, con la tua creatura che arranca a metà classifica e mille preoccupazioni per la testa, anche un derby vinto nella mediocrità può bastare per tornare a casa con un sorriso.
foto tratta dal profilo Twitter ufficiale del Milan