I diplomatici sono ottimisti di professione, anche quando la cronaca gronda sangue: “Ottimista e determinato” si definisce, parlando con i giornalisti, l’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura, un italo/svedese con esperienze di governo qui da noi, che gestisce a Ginevra i colloqui di pace indiretti tra il regime siriano del presidente al-Assad e l’opposizione ‘moderata’. Colloqui indiretti nel senso che, almeno per ora, le due parti non si parlano tra di loro, ma parlano all’Onu, ciascuna separatamente dall’altra.
L’esercizio mira a stabilire un percorso di transizione dall’attuale regime a un nuovo assetto politico siriano condiviso: sarebbe la fine della guerra civile che, in cinque anni, fa fatto oltre 250 mila morti. A Ginevra, de Mistura ha già incontrato la delegazione governativa e quella dell’opposizione siriana, che però schiera – si direbbe in termini calcistici – la ‘primavera’, ponendo numerose precondizioni per mandare in campo i titolari. Il che consente al regime di dire che l’opposizione non affronta seriamente le trattative e cerca di farle deragliare.
In realtà, l’avvio e l’esito dei negoziati sono condizionati dalle contraddittorie priorità dei partner nella coalizione contro il sedicente Stato islamico: gli Stati Uniti e i loro alleati conducono raid contro le postazioni del Califfo, ma hanno pure fretta di sbarazzarsi di al-Assad; la Russia bombarda gli jihadisti, ma appoggia il regime di al-Assad –ed è in pessimi rapporti con la Turchia –; la Turchia afferma d’operare contro le milizie, ma in realtà fa affari con esse e bada soprattutto a contenere i curdi –ed è in pessimi rapporti con la Russia-; i curdi sono i combattenti più efficaci contro il Califfo sul terreno, ma aspirano a uno Stato curdo tra Iraq, Turchia e Siria; le monarchie del Golfo sunnite sono contro gli jihadisti, ma vogliono frenare l’Iran e sbarazzarsi di al-Assad; l’Iran è nemico delle milizie, ma protegge il regime alauita, e quindi sciita, di al-Assad. Tutti sono contro i terroristi, ma non c’è accordo su chi siano i terroristi.
Questo contesto fa il gioco del Califfo e delle sue bande, che, con due kamikaze e un’autobomba, hanno ieri fatto strage nel cuore sciita della capitale siriana, quando pareva che russi e lealisti li stessero costringendo a ripiegare sul terreno. Mentre gli ‘alleati’ s’impastoiano nelle loro divisioni, il dramma d’un popolo e d’un Paese è ogni giorno più tragico: i rifugiati in Turchia, Giordania, Libano, o in Europa, sono circa 6 milioni e il segretario di Stato Usa Kerry avverte che ”13,5 milioni di siriani, fra cui 6 milioni di minori, hanno bisogno di aiuti umanitari; centinaia di migliaia di persone sono intrappolate dove il cibo non c’è o c’è solo saltuariamente”, moltissimi sono già morti d’inedia, altri stanno per farlo. Le milizie del Califfo mietono stragi; le indecisioni e le divisioni dei loro nemici sono altrettanto letali.
Il Fatto Quotidiano, 1 febbraio 2016