buona scuola 675

Appello ai docenti, agli studenti, ai cittadini; c’è molto da fare. E abbiamo davanti a noi un’occasione unica per ribadire – in termini ampi e riprendendoci la nostra dignità civica e politica – l’avversione per il più pesante dispositivo di trasformazione della scuola della Costituzione e delle sue garanzie in senso privatistico e liberista.

Sarebbe stato indubbiamente più semplice – certamente meno faticoso – dire: la legge è passata; è una pessima legge, ma è passata; ora bisogna solo cercare di farla funzionare nel modo meno pericoloso possibile. Sfumati i furori primaverili, molti infatti sono tornati – chi con le orecchie basse, chi con un malcelato sentimento di sollievo – nel rassicurante alveo della “normalità”, pronti a deporre le armi e collaborare con le più scellerate e insopportabili innovazioni targate Buona Scuola (sic!). Nella tacita acquiescenza della maggior parte del fronte sindacale unitario.

Se qualcuno continua a concionare o a tuonare dall’agorà virtuale, dimenticando che la partecipazione richiede sacrificio, impegno concreto differente da quello profuso con il click di un “mi piace”, con una condivisione, con l’estemporanea creatività di un post ben riuscito, altrove si è continuato a lavorare intensamente. Le scuole – abbandonate al bricolage della resistenza – hanno reagito in modi molto differenti alle prime applicazioni della legge 107; inerzia o agguerrita pervicacia nell’opporsi alle “novità” della riforma – Ptof (Piano triennale dell’offerta formativa), comitato di valutazione, alternanza scuola-lavoro. Nei casi più significativi – come al Liceo Classico Socrate di Roma – le componenti della scuola compatte (docenti, studenti, genitori) hanno rinviato al mittente la proposta indecente del comitato di valutazione. Altri invece hanno chinato il capo ed eseguito: sfiduciati, stanchi, incuranti, arrendevoli. Senza ricordare che non può/deve essere questo il momento dello scoraggiamento: non è da sottovalutare che un Ptof sia un patto con famiglie, studenti e territorio, che vincola per 3 anni; e che la “distrazione” potrebbe essere esiziale.

E nemmeno che l’organico potenziato potrebbe, anziché individuare kermesse di attività che qualifichino la scuola sotto l’appetibile ma vuota istanza della modernità, configurare riduzione di classi pollaio o ripristino delle ore di materie curriculari sottratte dalla “riforma” Gelmini. Arginare la tendenza di alcuni dirigenti scolastici ad accentrare su di sé la titolarità delle decisioni, sottraendole agli organi collegiali, impone un intransigente dovere di vigilanza sulla democrazia scolastica che molti stanno portando avanti con fatica e convinzione, in una inedita interpretazione del ruolo di docente “contrastivo”, che nello strano Paese in cui viviamo vuol dire “partecipativo, consapevole, libero, pensante”. Insomma, il panorama è composito; ma – c’è da crederci – c’è molta brace sotto la cenere.

Tutti devono sapere che c’è ancora moltissimo da fare per riaccendere la fiamma. Basta volerlo. Innanzitutto non rassegnarsi, in particolare alla vigilia di una stagione che si annuncia densa di possibilità, se solo le si voglia cogliere: i “referendum sociali”, una campagna allargata per la raccolta di firme perché i cittadini possano riappropriarsi della sovranità che la Carta affida al popolo mediante pratiche democratiche attuate in prima persona. Questo significa riprendere parola e capacità decisionale su temi che interessano profondamente la società e la cui soluzione in direzione antiliberista e in ragione dell’interesse generale prefigura un diverso modello socio-economico, fondato sulla partecipazione, sulla solidarietà, sull’equilibrio, sul rispetto degli esseri umani e dell’ambiente. Si tratterebbe di trivellazioni in mare e terra; processi di privatizzazione e finanziarizzazione dei beni comuni avviati dal governo Renzi attraverso spending review, decreto sblocca Italia e legge di Stabilità; distruzione della scuola della Costituzione.

A questo impianto dovrebbe unirsi un referendum sul lavoro, al momento incerto nei tempi e nelle modalità, ma certamente fondamentale per puntare il dito sulla intollerabile violazione dell’art.3 della Costituzione e della dignità dei lavoratori configurata dal Jobs Act e dalle mille frange di precarizzazione che esso produce. La cornice generale: i due quesiti contro l’Italicum e – prima di tutto – la necessità politica – ma prima ancora etica e civile – che il referendum confermativo dell’inaudito attacco alla Carta sferrato dal governo Renzi non sia un plebiscito a favore del Governo, protetto dai poteri forti e rinforzato da una stampa mai come oggi appiattita sul carro del vincitore. Questa consultazione deve piuttosto determinare una chiara ed esplicita riaffermazione dei principi cardine della nostra Repubblica, che i padri costituenti hanno configurato come parlamentare, considerando dopo l’esperienza del fascismo la centralità dei rappresentanti dei cittadini un antidoto contro ogni autoritarismo e ogni concentrazione di potere sull’esecutivo.

Coloro che hanno intenzione di partecipare attivamente e fattivamente a questo processo di riscatto democratico e di risveglio morale hanno un’occasione per mettersi in moto: il 6 e il 7 febbraio a Napoli, presso la Sala del Capitolo, si svolgeranno rispettivamente l’assemblea per l’attualizzazione del testo della legge di iniziativa popolare Per una buona scuola per la Repubblica e quella, appunto, per la costituzione del comitato promotore del referendum abrogativo di parti della legge 107, che discuterà anche nel merito dei possibili quesiti. Una campagna referendaria che una larga parte della scuola democratica ha intenzione di portare avanti insieme, nella necessaria concordia e corresponsabilità che un obiettivo importante come la difesa della Costituzione italiana e della scuola pubblica comportano.

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