Michele Buoninconti, “pur avendo agito con straordinaria freddezza”, ha commesso “un unico errore“. Ad incastrarlo, secondo i giudici, sono le chiamate fatte al cellulare della moglie Elena Ceste il giorno dell’omicidio per cercare l’apparecchio, “nel timore che fosse stato smarrito”. L’analisi delle celle telefoniche dimostra, infatti, che Buoninconti era “nell’area del ritrovamento del corpo di Elena in un orario compatibile con il successivo sviluppo dei fatti”.
E’ quanto scrive il giudice del Tribunale d’Asti, Roberto Amerio, nelle motivazioni della sentenza con cui il vigile del fuoco di Costigliole d’Asti è stato condannato in primo grado a 30 anni di carcere lo scorso 4 novembre per l’omicidio della moglie. Un delitto che ha avuto una “lunga incubazione” nella mente di Buoninconti. “E’ del tutto verosimile – si legge – ritenere che sia stata l’esasperazione di Michele per la doppia vita tenuta di Elena a sua insaputa a costituire il detonatore dell’azione criminosa”. Secondo il magistrato è probabile che Buoninconti abbia ideato il piano “nell’autunno del 2013” dopo “un primo confronto con la moglie”, ma poi vi ha rimandato in attesa che la donna tornasse “nei controllati ritmi famigliari”.
Il vigile del fuoco ha poi deciso di uccidere il 21 gennaio, quando ha “scorto occasionalmente i messaggi inoltrati da Elena” a un amico. La scelta di agire il 24 è stata “consapevolmente sfruttata perché l’imputato proprio quella mattina fruiva di un riposo programmato”. Il giudice rileva “la tristezza” manifestata da Elena il 22 gennaio durante un incontro con un’amica, che dimostra “il disagio della donna di fronte ai contrastati sentimenti provocati contemporaneamente dal suo desiderio di evasione e dall’amore per la famiglia, identificata soprattutto nei figli”.
Sulla colpevolezza di Buoninconti gli inquirenti non hanno dubbi. Al processo, però, non è stato stabilito “con certezza scientifica con che modalità” Elena Ceste “è stata assassinata”. Il giudice Roberto Amerio, comunque, ricorda come “il mancato rinvenimento di tracce ematiche sulla scena del delitto e sulle auto in uso alla famiglia, oltre all’assenza di veleni e/o farmaci sul parenchima ematico, orientino per un omicidio commesso per strangolamento”.
Elena Ceste era scomparsa dalla villetta di Costigliole d’Asti il mattino del 24 gennaio 2014. Buoninconti, che aveva portato i figli a scuola, al rientro non l’aveva trovata in casa e aveva cominciato a cercarla. Per il vigile del fuoco la moglie stava male, delirava e sarebbe uscita nuda e senza gli occhiali. Il cadavere, ormai ridotto a uno scheletro, venne trovato il 18 ottobre 2014 da alcuni cantonieri impegnati a ripulire un canale nel comune di Isola d’Asti, a due chilometri dall’abitazione. Secondo la Procura e i giudici di primo grado nato dalla gelosia per i contatti che la Ceste aveva con altri uomini. Il 17 agosto 2014 dice ai figli mentre è intercettato dalle microspie piazzate nella sua auto: “Con mamma c’ero riuscito a farla diventare donna. Solo, vai a capire cosa ha visto! Diciotto anni della mia vita per recuperarla, diciotto anni per raddrizzare mamma!”.