Il primo quadrimestre scolastico si è appena concluso. È quindi tempo di fare un bilancio di quanto la riforma della scuola, varata lo scorso anno dal governo Renzi, abbia inciso sulla tutela del principio di bigenitorialità, ovvero il diritto dei figli minori di mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori (anche se separati o divorziati) e viceversa.
Diciamo innanzitutto che da luglio, mese di approvazione della legge, il Miur ci ha messo pochissimo ad attivarsi per dare piena attuazione a tale principio nelle scuole italiane. Sono bastati due mesi e una circolare di cinque pagine. E diciamo pure che in un Paese normale la notizia avrebbe avuto un rilievo altrettanto normale. Perché a ben pensarci non c’è niente di più normale, quando si fa una legge, che accertarsi della sua sollecita ed effettiva applicazione.
Non in Italia, però. Un Paese malato di superficialità in cui tutti sono pronti a raccogliere gli onori, ma nessuno a farsi carico degli oneri. Così anche un governo che racconta la favoletta della #buonascuola (con tanto di hashtag per fare tendenza!), senza assicurarsi che questa sia buona davvero, si sente legittimato in un’azione politica demagogica in cui la forma prevale sempre sulla sostanza e agli occhi dei più diventa normale.
La verità, nuda e cruda, è che la circolare n. 5336 del 2 settembre 2015 arriva a quasi un decennio dall’approvazione della legge sull’affidamento condiviso. Un ritardo siderale – vergognoso e del tutto ingiustificato – che un laconico mea culpa (è lo stesso Miur che in riferimento alla legge 54/2006 scrive che “non ha mai trovato una totale e concreta applicazione nella quotidiana ordinarietà della vita scolastica dei minori”) e un semplice hashtag non possono cancellare dalla lavagna con tanta facilità, soprattutto se si considera che una buona scuola, per essere tale, dovrebbe (e avrebbe dovuto) insegnare ai nostri figli, cioè i genitori di domani, il rispetto di regole che sono alla base di una società per definizione “civile”, a partire dalla parità di doveri e diritti tra madre e padre sancita dall’art. 30 della Costituzione, di cui il principio di bigenitorialità è solo l’espressione più recente. Non certo fargli da cattiva maestra.
Se poi occorre la prova del nove, basti rilevare che, sebbene dopo dieci anni di negligenza fosse lecito (oltreché doveroso) attendersi un quadrimestre perfetto, in Emilia-Romagna la scuola è già ricaduta nel solito errore, negando a un padre, su richiesta della madre, di ottenere la password del registro elettronico della figlia, escludendolo di fatto dalla possibilità di ottenere informazioni sul suo rendimento e partecipare ai colloqui con i professori.
Viene allora da chiedersi a cosa serva diramare circolari per la diffusione di buone prassi, se poi nessuno controlla. Lo Stato, in questo caso, dov’è? Probabilmente vale ancora il motto di Tancredi, protagonista del Gattopardo, secondo cui “è necessario che tutto cambi, affinché tutto rimanga com’è”.