Vent’anni di omicidi rimasti senza colpevole furono ordinati ed eseguiti dalla guardia d’onore di Cosa nostra in provincia di Messina e dal suo boss più autorevole, quel Giuseppe Gullotti, già condannato per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. È quello che hanno ricostruito le indagini del Ros dei Carabinieri, che stamattina hanno concluso il sesto troncone dell’inchiesta Gotha: le manette sono scattate ai polsi di 13 persone, accusate di aver ordinato ed eseguito 17 esecuzioni tra il 1993 e 2012.

L’inchiesta coordinata dal procuratore di Messina Guido Lo Forte e dai sostituti Vito DI Giorgio ed Angelo Cavallo prende spunto dalle dichiarazioni di Carmelo D’Amico, ex killer della potente cosca di Barcellona Pozzo di Gotto, che due anni fa ha deciso di collaborare con la magistratura. Autore di delicate ricostruzioni finite agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa Stato mafia, D’Amico ha anche aiutato gli inquirenti a fare luce sulle dinamiche criminali interne della famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto, uno dei clan più oscuri e pericolosi dell’intera Cosa nostra: i barcellonesi, infatti, hanno spesso intrattenuto rapporti con le altre associazioni criminali (come la ‘Ndrangheta), e hanno sempre avuto una naturale passione per le logge massoniche coperte. E infatti, tra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Giovanni Di Marco, spicca il nome di Giuseppe “Pippo” Gullotti, detto “l’avvocaticchio” per la sua laurea in giurisprudenza, considerato da sempre il pezzo da Novanta della famiglia di Barcellona. Gullotti non è, infatti, un boss qualunque: è già detenuto dopo essere stato condannato a trent’anni di carcere per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Quello del corrispondente de La Sicilia è un assassinio rimasto ancora oggi pieno di interrogativi: l’8 gennaio del 1993 Alfano fu colpito da tre pallottole mentre si trovava all’interno della sua Renault nei pressi di casa. A ordinare quell’omicidio sarebbe stato lo stesso Gullotti mentre oscuro è rimasto fino ad oggi il nome degli esecutori.

L’avvocaticchio Gullotti gioca un ruolo controverso anche nella preparazione della strage di Capaci: nel maggio del 1992 va a trovare Giovanni Brusca a San Giuseppe Jato, nascosto all’interno di un camion utilizzato per trasportare cavalli, e gli consegna un congegno elettronico. È il telecomando che il boss dei corleonesi utilizzerà per dare inizio all’Attentatuni, il progetto di morte per Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Come dire che è a Gullotti e ai barcellonesi che si affidano gli uomini di Totò Riina per un incarico tanto delicato come quello della costruzione del telecomando per assassinare Falcone. Finiscono agli arresti nell’operazione Gotha 6 anche i principali luogotenenti di Gullotti: il suo braccio destro Salvatore “Sam” Di Salvo, e quello sinistro, Giovanni Rao, entrambi già finiti in manette nel 2011. Nella lista dei boss arrestati c’è anche Tindaro Calabrese, reggente del clan di Barcellona dal 2006, erede indiretto dello stesso Gullotti, detenuto dal 2008. E ci sono anche gli ultimi “picciotti” affiliati alla cosca: i trentenni Antonino Calderone, Aurelio Micale, Carmelo Trifirò, Pietro Mazzagatti, Domenico e Salvatore Chiofalo. Gli inquirenti hanno invece dovuto spiccare un mandato d’arresto europeo e volare a Bruxelles per fermare Angelo Caliri.

Oltre alle dichiarazioni sugli omicidi ordinati dalla cosca di Barcellona, il pentito D’Amico ha regalato agli inquirenti anche alcune ricostruzioni sui rapporti tra Cosa nostra e la massoneria nel messinese. In particolare, secondo l’ex killer esisterebbe una loggia occulta, capace d’influenza affari ed equilibri politici tra la Sicilia e la Calabria, frequentata da boss, esponenti delle istituzioni e agenti dei servizi: a guidarla sarebbe stato addirittura Domenico Nania, ex vicepresidente del Senato con il Pdl. 

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