“Rischio di morire senza sapere come è morto mio figlio”. Matteo Armellini aveva 31 anni quando una parte del palco che altri avevano costruito per il concerto di Laura Pausini, il 5 marzo del 2012 a Reggio Calabria, gli crollò addosso uccidendolo. Da quel giorno, da quella telefonata che nessuna madre vorrebbe ricevere, la signora Paola combatte: “Pensi che c’è voluto un anno prima di poter cremare il corpo di mio figlio”. Il percorso giudiziario per arrivare a capire chi deve pagare per quella morte è come tutti gli altri, in Italia: lento e farraginoso. “E non per colpa della Procura o dei giudici, ho capito che è proprio la giustizia a non garantire se stessa”.
Oltre all’inestimabile danno, per il quale ha già rifiutato un risarcimento da 350 mila euro, la mamma di Matteo rischia adesso la beffa: a quattro anni di distanza, il processo di primo grado – che è ancora in fase dibattimentale – potrebbe subire un nuovo stop: il giudice che lo conduceva è stato trasferito a Palmi ed è probabile che il nuovo magistrato incaricato voglia riascoltare tutti i testimoni. “Ci troveremo tra un anno e mezzo al punto in cui siamo oggi”, spiega al Fatto la signora Paola. E quindi? “Quindi la prescrizione per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della disciplina sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro scatta dopo sette anni e sei mesi. Ne sono passati già quattro. La prescrizione è dietro l’angolo”.
Paola Armellini ha deciso così di continuare a esporsi, lanciando una petizione (che su change.org/bastaprescrizione in 24 ore aveva già sfiorato le 15 mila firme) al ministro Orlando: “Chiedo che vengano messi all’ordine del giorno i disegni di legge sulla prescrizione che prevedono la sospensione della prescrizione con la sentenza di condanna in primo grado. Abbiamo bisogno di giustizia. Vogliamo almeno questa magra consolazione”.
Per la morte di Matteo sono imputate sette persone: Maurizio Senese, responsabile della Esse Emme Musica, promoter locale che aveva organizzato il concerto; Sandro Scalise, coordinatore della sicurezza per i lavori di costruzione della struttura; Franco Faggiotto, progettista; Pasquale Aumenta, responsabile della Italstage, società costruttrice del palco; Ferdinando Salzano, rappresentante della Friends & Partners Group, committente dei lavori di allestimento del palco alla Italstage; Marcello Cammera, all’epoca dirigente comunale dei Lavori pubblici; e Gianfranco Perri, estensore del piano di sicurezza. “Purtroppo dal 5 marzo 2012 sono sorpresa di tutto – prosegue Paola –. Ho capito che questi problemi se non li cavalchi, non li conosci”. La signora ricorda che, solo per la perizia tecnica, ci sono voluti oltre due anni. “Il processo di fatto è cominciato all’inizio del 2015, ma dopo le prime due udienze abbiamo assistito a un cambio di giudice. Io non do la colpa alla Procura, né ai magistrati; capisco che il Tribunale di Reggio Calabria non ha solo il mio processo. Ma vorrei far notare che qui non si parla di reati amministrativi, qui è morta una persona”. E la possibilità che gli imputati rinuncino alla prescrizione? Paola sorride: “Ma se non aspettano altro…”.
Da qui la richiesta al ministro di mettere mano a una riforma che, per esempio, faccia scattare la prescrizione non dal momento della morte: “Questo è l’errore maggiore, secondo me. Matteo aveva 31 anni e aveva diritto di vivere. Adesso io vorrei almeno dare un senso alla sua vita e a quella di tutti coloro che la perdono sul lavoro. Lo dico da cittadina, non soltanto da madre. Il lavoro è un diritto, la giustizia ha il dovere di controllare che non accadano certe cose. Mi chiede se ho fiducia? Continuerò a battermi fino alla fine perché è l’unica cosa che mi è rimasta. Matteo era il mio unico figlio. Non ho fiducia, sono solamente disperata”.
Da il Fatto Quotidiano del 3 febbraio 2016
Riceviamo e pubblichiamo
Su ‘Il Fatto Quotidiano’ di oggi è apparso un articolo a firma di Silvia D’Onghia riguardante il processo in corso a Reggio Calabria per la morte del povero Matteo Armellini, nel quale si sostiene che gli imputati saranno “salvati dalla prescrizione” .
Come difensori degli imputati, esprimiamo il massimo rispetto per il dolore che ha colpito la Sig.ra Armellini e comprendiamo la sua esigenza di giustizia.
Allo stesso modo, sentiamo il bisogno di precisare che fin dalla data del tragico evento nessuno di noi o dei nostri assistiti ha mai in alcun modo interferito con i tempi del processo che, come accade in tutti i casi in cui il giudice penale debba affrontare una morte sul lavoro, inevitabilmente si allungano a causa della difficoltà e complessità degli accertamenti da svolgere.
D’ altra parte proprio perché va stabilita la causa della morte di un lavoratore, occorre essere particolarmente diligenti, per evitare di condannare degli innocenti, cosa che non crediamo auspichi nemmeno la Sig.ra Armellini.
Al solo scopo di contribuire ad offrire un’ informazione corretta, desideriamo, infine, precisare:
- che i nostri assistiti non aspirano affatto alla prescrizione, ma ad un processo giusto;
- che le udienze innanzi al Tribunale di Reggio Calabria si susseguono da circa un anno in modo assai più celere rispetto agli altri processi fissati sul ruolo;
- che non è assolutamente vero che il reato si prescriverà in sette anni e sei mesi: la legge, proprio per questo tipo di eventi, prevede il raddoppio dei termini di prescrizione che superano pertanto, i 15 anni.
Avv. Stefano Borella avv. Luigi Petrillo
Avv. Alessandra Cerreta avv. Marco Panella
Avv. Francesca Gritti
Avv. Cristiana Totis