Una giustizia a rovescio la nostra dove a soccombere è quasi sempre la parte più debole. Ma forse non è solo la giustizia. Probabilmente, e lo comincio a pensare seriamente, viviamo davvero in un….Paese a rovescio. E le cronache ce lo ricordano ogni giorno. Ogni momento. Da noi se la donna subisce uno stupro, l’uomo se la cava molto spesso con una condanna mite. O neanche quella. Se la donna subisce le attenzioni da uomini stalker, quasi sempre ci rimette la vita perchè nessuno riesce a proteggerla.
Se la donna non rassetta la casa cantando, non prepara il ragù della domenica, non avvia la lucidatrice per far splendere i pavimenti di marmo, insomma se non cura il marito e la casa, ora e prendete nota tutte, rischia il carcere. Ma in che Regno siamo? E soprattutto…in che anno siamo? Le donne stanno pagando caramente l’emancipazione femminile, che le ha condotte ad una maggiore presa di coscienza del proprio status, collocandole anche al di fuori dell’ambito familiare e differenziando il loro ruolo nella società.
E questo per chi non lo accetta diventa davvero un problema familiare, che può portare anche alla rottura. In genere sono proprio loro che, se le cose non vanno, dicono basta. Lo certificano le statistiche. Una presa di coscienza maggiore e anche un’avvenuta parità determinano spesso decisioni di separazioni se questi valori non vengono accettati dal partner. Anche se con differenti reazioni, a seconda dei contesti sociali.
Se la decisione di separarsi la prendono i benestanti, potrebbe tutto scivolare liscio come l’olio. Ma se questo accade a famiglie già in crisi economica, dove la decisione potrebbe creare problemi di sopravvivenza a chi non lavora, a chi non ha una casa, a chi ha figli piccoli, etc. etc. non rimane difficile pensare che la donna adotti un comportamento di chiusura e di rottura verso il coniuge. Anche con altri mezzi. Insomma se la donna, non può separarsi, potrebbe decidere a modo suo. Ed ecco il perchè dei titoloni di oggi su tutti i quotidiani. Una donna rinviata a giudizio a Sonnino, paesino che dista pochi chilometri da Latina, città in cui io abito, perché non lava e stira le camicie del marito. Siamo a questo. La donna, una quarantenne, è stata denunciata ai carabinieri dal marito, di sette anni più grande di lei, che ha sostenuto di essere stato per oltre due anni insultato da lei, non servito e riverito come vuole la prassi familiare, e costretto a vivere in una casa poco linda. E lei, rinviata a giudizio per maltrattamenti, rischia dai due ai sei anni di carcere.
La conquista delle Pari Opportunità, i cortei delle femministe per reclamare pari diritti e identico rispetto….zacchete…, improvvisamente “tutto al macero”. Qualcuno a sentir parlare di femministe potrebbe storcere la bocca. Allora risentiamo quello che c’è stato letto il giorno del “si”, davanti al prete o al sindaco.
Rileggiamo l’art. 143, che dice: ” Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”. Collaborazione, interesse reciproco, assistenza, parole sante, funzionanti però solo dove regna l’armonia. Ma se questa si rompe a causa di mariti-padroni, tutto va al diavolo, anche se si è rispettato l’ormai desueto andante …moglie e buoi dei paese tuoi.