Il governatore della Campania Vincenzo De Luca è stato assolto dalla Corte d’appello di Salerno “perché il fatto non sussiste” nel processo per la nomina di un project manager nell’ambito di un progetto per la costruzione di un termovalorizzatore nella città campana. De Luca era accusato di abuso d’ufficio e peculato. La procura generale aveva chiesto la condanna a 11 mesi di reclusione.
In primo grado il presidente Pd della Regione era stato condannato a un anno, pena sospesa, condanna che aveva determinato nei confronti di De Luca la sospensione dall’incarico di presidente della Giunta regionale per effetto della legge Severino, provvedimento poi sospeso dal tribunale in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale sul suo caso. “Finalmente” è stato il commento a caldo di De Luca al telefono con uno dei suoi avvocati, Paolo Carbone. “Ci abbiamo messo un po’ ma ce l’abbiamo fatta” ha aggiunto Carbone. La sentenza è giunta dopo due ore di camera di consiglio.
Con De Luca sono stati assolti anche gli altri due imputati, il dirigente del settore lavori pubblici del Comune di Salerno, Domenico Barletta, e il capo staff di De Luca all’epoca dei fatti quando era sindaco di Salerno, Alberto Di Lorenzo. Per tutti gli imputati la Corte d’appello ha stabilito anche la revoca delle pene accessorie.
“Anni di pesante aggressione politica e mediatica per nulla”, è il commento del governatore ed ex sindaco di Salerno. “Anni di un calvario che avrebbe fatto scoppiare il cuore a chiunque. Ho retto per le profonde motivazioni ideali e morali, e per l’assoluta serenità della mia coscienza”. De Luca ribadisce che “il controllo di legalità nei confronti di chiunque è doveroso in democrazia”, ma “mi auguro che nel dibattito pubblico si esaurisca la tendenza dilagante a calpestare con disinvoltura la dignità di persone e famiglie oltre le regole di uno Stato di diritto”.
La vicenda politico-giudiziaria del presidente della Campania ha viaggiato in parallelo con quella del sindaco “arancione” di Napoli Lugi De Magistris. Anche quest’ultimo era stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio – in un processo legato alla sua passata veste di pm nell’inchiesta Why not – ed era incorso nella sospensione determinata dalla legge del 2012 su incandidabilità e ineleggibilità. Per entrambi, il Tribunale civile di Napoli aveva “sospeso la sospensione” in attesa che la Consulta si pronunciasse su eventuali profili di incostituzionalità della Severino, sollevati da una precedente pronuncia del Tar della Campania in merito al suo caso. Pronuncia che è arrivata il 20 ottobre 2015: i giudici hanno ritenuto pienamente legittima la Severino, gettando un’ombra sulla sorte parallela di De Luca. Poi, il giorno dopo per il sindaco e oggi per il governatore, sono arrivate le assoluzioni in appello dal reato di abuso d’ufficio, che hanno definitivamente allontanato lo spettro della sospensione. La legge Severino, infatti, prevede la sospensione cautelativa degli amministratori locali in caso di condanne in primo grado per determinati reati, cautela a tutela della pubblica amministrazione che cessa in caso di successiva assoluzione. Per i parlamentari, invece, è prevista soltanto la decadenza in caso di condanna definitiva, come accaduto con Silvio Berlusconi.
Alla vigilia delle regionali della scorsa primavera, il nome del candidato Pd Vincenzo De Luca era finito nella discussa lista degli “impresentabili” redatto dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi, anche lei esponente di punta del partito di Matteo Renzi. Ne seguì una polemica rovente, in cui l’allora candidato governatore non si risparmiò e minacciò di denunciare la collega Pd, ma in quel caso l’accusa di abuso di ufficio sua vicenda del termovalorizzatore non c’entrava. La Commissione parlamentare precisò che l’inserimento nella black list era stato determinato da un procedimento del 2002 per il reato di concussione continuata commesso dal 1998, realtivo a una vicenda urbanistica salernitana.