Enrico Ruggeri pubblica il suo album più pietoso. Questo è un titolo a effetto. È anche vero, quindi nessuno potrà poi dire che si è voluto giocare con le parole. È vero e, visti gli ultimi lavori, almeno gli ultimi due album, è verissimo. In concomitanza della sua partecipazione al sessantaseiesimo Festival della Canzone Italiana di Sanremo, col brano Il primo amore non si scorda mai, quantomai sanremese, apparentemente, il Rouge, come lo chiama chi lo frequenta, pubblica il suo trentacinquesimo album, Un viaggio incredibile, il suo album più pietoso, appunto.
Piccola premessa, o come si può chiamare una premessa messa dopo il prologo, io e Enrico Ruggeri siamo amici. Lo siamo da qualche tempo, anche se in realtà lo seguo da sempre, da quando lo vidi, nel 1980, io ragazzino, lui ragazzo, sul proprio sul palco dell’Ariston. Le ventinove canzoni di questo album, nove inedite, quattro cover più le nuove versioni dei suoi classici del lustro 1986-1991 le ho ascoltate tempo fa, in anteprima. Ed è stato proprio durante questo primo ascolto che, chiacchierando con Ruggeri, è venuta questa intuizione del pietoso, intuizione che a Ruggeri stesso era addirittura sfuggita, a questo servono gli ascolti fatti coi critici musicali, a volte, a decifrare il proprio lavoro, a cogliere dei dettagli anche centrali. Un album pietoso, quindi, titolo che ora vi andrò a spiegare.
Enrico Ruggeri è un artista libero, da questo è nata la nostra amicizia, dall’essersi riconosciuti. Uno che i grandi network radiofonici non passano con molto piacere, per un numero di motivi imprecisato, e nonostante questo continua a avere una grande popolarità, lui che è uomo di grandi canzoni, che è stato uomo di televisione e che ora è, ironia della sorte, uomo di radio col suo Il falco e il gabbiano, su Radio 24. Negli anni, capita la china che stava prendendo il mondo della musica, si è aperto la sua etichetta e ha continuato a fare quello che ha sempre fatto, la propria musica. Forse, come succede poi sempre nei momenti di crisi, con ancora maggiore libertà. Tanto vale divertirsi. E così, ultimamente, dopo aver tirato fendenti con piglio energico negli ultimi Frankestein (liscio o 2.0) e Pezzi di vita, ora Enrico guarda al mondo, il mondo che ha sempre messo dentro le sue canzoni, quello che lo circonda, quello delle donne, quello della vita quotidiana, con pietà, con compassionevole sguardo, con amorevole sguardo. Come gli angeli de Il cielo sopra Berlino, sempre mantenendo, però, un piglio rock ‘n’ roll, che da sempre è il suo pallino. Non a caso dentro il primo dei due cd che compongono Un viaggio incredibile, ci sono quattro cover omaggio al Duca Bianco. Quattro canzoni di David Bowie che, probabilmente, qualcuno potrebbe interpretare come un modo anche eccessivo di rendere onore a una delle figure centrali del Novecento musicale, ma che, guarda caso, erano già finiti in suoi album precedenti, qui semplicemente raccolte viste gli ultimi accadimenti (per altro, Un viaggio incredibile, la canzone, messa al nono posto in tracklist, sarebbe stata una perfetta coda del cd, ascoltare per credere, quindi ancora una volta Ruggeri ha preferito sacrificare all’onestà il suo stesso lavoro).
Le canzoni, allora. Enrico Ruggeri si guarda intorno. E racconta. Giocando con le parole. E coi generi. Stavolta, come sempre. Dentro l’album c’è il rock in levare del brano sanremese (con quella citazione degli Stranglers, che, in effetti, a molti sfuggirà), canzone dal titolo ingannevole. C’è la classica ballad, che però non parla d’amore, ma di imprese eroiche. Ci sono suoni latinoamericani. C’è del punk in chiave pop. C’è un inno. Ci sono suoni epici. Inutile raccontare le canzoni una a una, le canzoni vanno ascoltate. Ma come non riconoscere nel brano La badante un altro ritratto degno di finire in una galleria al fianco di classici come Il portiere di notte? Un brano che racconta, i titoli sono lì per quello, la storia di una badante sudamericana che si trova a vivere lontano dalla sua terra, unico rapporto che la fa sentire ancora una persona quello con la persona di cui si prende cura. Una canzone incredibile, che le radio dovrebbero passare, ma che, ovviamente, le radio non passeranno, perché si può mai passare una canzone su una badante? Una polaroid su toni scuri, che poi si apre in un ritornello caraibico che, messo in bocca a Ruggeri, spiazza, e commuove.
Ecco, quando parlavo di album pietoso intendevo questo.
Ruggeri guarda al mondo con occhi benevoli, stavolta pacati. Senza quella rabbia che, negli ultimi tempi, lo aveva spinto a assestare colpi, come a voler fare il fratello maggiore (quindi benevolo, anche in quel caso, ma arrabbiato, come di chi vuole difenderci dai bulli).
La musica delle canzoni è decisamente musica alla Ruggeri, e lo sono anche le parole. Per cui, nonostante l’amicizia che ci lega, non fingerò di voler essere critico, per dimostrare una imparzialità inutile, di fronte a chi fa musica con onestà e libertà. Le canzoni parlano da sole, per fortuna.
A Sanremo Ruggeri andrà a far ascoltare la sua musica, come in effetti dovrebbe sempre accadere in quel contesto. Poi tornerà a divertirsi sui palchi, in studio, tra la gente. Io, lo dico da uomo libero, faccio il tifo per lui. Racconterò il Festival, seguirò tutto quel che succede a Sanremo, ma faccio il tifo per lui, perché il primo amore non si scorda mai.