Giù le mani dalle commissioni tributarie.  Nonostante gli scandali e lo stillicidio di arresti per mazzette quella di Mario Cavallaro non è una difesa d’ufficio: da due anni presiede l’organo di autogoverno della giurisdizione più odiata dai contribuenti. Ma l’altro giorno, quando il primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio (nella foto) ha auspicato che la materia rientri sotto l’ala della magistratura ordinaria, ha avuto un sussulto. Anzi qualcosa in più. La risposta a distanza è cortese. Ma ferma: “Sarebbe un grande errore: la giustizia ordinaria ha già di suo milioni di cause arretrate. Se ci aggiungiamo anche il contenzioso tributario, oltre 500 mila ricorsi, le udienze slitterebbero almeno al 2020. Se non si parte da questo dato, il resto sono chiacchiere”. dice Cavallaro a ilfattoquotidiano.it.

RICETTA SBAGLIATA A Cavallaro non fa certo difetto la schiettezza. Nel deplorare, per esempio, ogni forma di eutanasia dei processi, che si chiami prescrizione o perenzione, a cui è costretto lo Stato “che per fare tutto non riesce a fare niente”. A Canzio, d’altra parte,  non manca l’esperienza: fino al suo approdo poche settimane fa ai vertici della Cassazione è stato presidente di Corte d’Appello a Milano ma anche a capo della commissione tributaria provinciale di Firenze. “Forse le sue parole  – ipotizza Cavallaro –  sono state una reazione agli episodi più recenti che colpiscono e offendono la categoria dei giudici tributari, specie di quelli togati come lo è stato lui. Non ritengo che la sua sia un’invasione di campo: ma la ricetta che propone, lo dico sommessamente, è sbagliata”. Meglio allora puntare sulla riqualificazione della categoria e sui controlli: dopo gli ultimi arresti è stato disposto un programma di ispezioni a tappeto, anche se, per la verità, negli ultimi due anni la disciplinare è riuscita a comminare solo 17 sanzioni di cui 8 sospensioni dalle funzioni, mentre appena due sono stati i casi di decadenza  e 14 i trasferimenti per incompatibilità.

RIFORMA NECESSARIA Ma chi sono i giudici tributari? Sono in totale 3.600 di cui oltre la metà togati e cioè magistrati ordinari, contabili e amministrativi che siedono come lavoro extra anche in queste commissioni. Gli altri sono laici (commercialisti, avvocati o ex funzionari del fisco). E proprio questa composizione mista è invisa a chi ritiene che non possa parlarsi pienamente di una giurisdizione con i necessari caratteri dell’indipendenza. Anche per questo (oltre che per il serio rischio di una censura europea dell’assetto attuale che prevede che il contribuente per una stessa vicenda possa essere soggetto al contenzioso tributario e contestualmente a quello penale), è indispensabile una riforma: “Ma per assumere anche appena mille magistrati che si dedichino a tempo pieno solo a questo e con uno stipendio onorevole, servono i soldi”, dice Cavallaro. Che però rifiuta un certo pregiudizio. “Oggi possono esserci fenomeni meno governabili rispetto ad una magistratura totalmente professionista, ma per i giudizi disciplinari che facciamo, posso dire che anche i magistrati ordinari talvolta non si fanno mancare niente”.

RICCHE CARTELLE D’altra parte la torta che ruota attorno alle cartelle esattoriali è ricchissima: tra nuovi ricorsi e cause arretrate, il contenzioso su cui le commissioni tributarie sono chiamate a decidere vale oltre 52 miliardi. Dentro ai faldoni delle liti con il fisco, c’è di tutto: ma a fare notizia sono soprattutto quelle che vedono contrapporsi all’Agenzia delle Entrate (di cui le commissioni tributarie sono una sorta di braccio operativo) i  grandi nomi, che si tratti dell’alta moda o dell’industria, di vip dello spettacolo o dello sport. In questo caso la posta in gioco è di centinaia di milioni di euro: in generale però le controversie da oltre un milione sono solo l’1 per cento, ma valgono tutte insieme 23 miliardi. “Le commissioni tributarie emettono sentenze. E si tratta di provvedimenti esecutivi: chi perde paga le spese, tanto per dirne una. Negare che si tratti di una giurisdizione vera e propria è fantascienza. Altro che commissioni, bisognerebbe chiamarle tribunali o corti”, dice Cavallaro. Che, in vista dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il 19 febbraio a Villa Lubin e poi in tutte le sedi territoriali ha imposto uno scatto di orgoglio: per conferire più solennità e autorevolezza alla cerimonia e magari far dimenticare i troppi scandali ha ripristinato l’uso delle toghe. Per chi, ovviamente, ne abbia diritto.

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