Una maggioranza favorevole alle unioni civili tra omosessuali, ma 3 su 4 contrari alle adozioni per i gay. Il dibattito in Parlamento modifica in parte l’atteggiamento degli italiani intervistati da Ixè nel sondaggio per Agorà (Rai3). Il 50% dice che se fosse in Parlamento voterebbe a favore del ddl Cirinnà. Ma una settimana fa la quota era del 53. Oggi il 43% voterebbe contro la legge in discussione sulle unioni civili, mentre il 7% non prende posizione. L’estremizzazione della questione nell’ultimo mese (con la piazza di SvegliatItalia e quella del Family Day, oltre che il dibattito continuo in tv e sui giornali, ha prodotto alcune variazioni anche nell’approccio con le adozioni per i gay. Il 73 per cento è contrario (una settimana fa era il 67), mentre è favorevole uno su 5 (e sette giorni fa era il 24%). Va detto che il ddl Cirinnà, in discussione al Senato, non prevede le adozioni per i gay, ma solo la cosiddetta “stepchild adoption”, espressione presa dall’inglese che significa adozione del figlio acquisito, una norma che favorirebbe l’adozione del minore nato da una precedente relazione.
Nelle rilevazioni sui partiti (margine d’errore del 3 per cento) lo stato di salute migliore pare quello del Pd, la cui tendenza negli ultimi 20 giorni è stata costante, in salita. Il 15 gennaio era al 33,1, oggi è al 34,1, con un aumento dell’1 per cento (la scorsa settimana era al 33,9). Opposta la dinamica per il Movimento Cinque Stelle che nello stesso periodo ha perso quasi un punto e mezzo. Oggi il M5s è di nuovo sceso sotto al 25 per cento (24,6), mentre il 15 gennaio era al 26.
La Lega Nord resta saldamente il terzo partito con il 14,2%, anche se con una lieve flessione rispetto alla scorsa settimana (-0,4). Tuttavia nel centrodestra è frequente un travaso di preferenze e infatti nella stessa settimana Forza Italia segna un incremento dello 0,2 (è all’11,2).
Tra gli altri partiti Sinistra Italiana resta più o meno stabile al 4,2, mentre Area Popolare il partito che con il M5s perde di più nell’ultima settimana. Forse gli alfaniani – dati al 2,7, sotto la soglia necessaria per l’ingresso in Parlamento – pagano le posizioni considerate troppo vicine e indulgenti a Renzi e alla maggioranza di governo. O comunque non incisive per far cambiare rotta al Pd, come appunto sulla vicenda delle unioni civili. Tutte le altre forze politiche sono ben lontane dalla possibilità di un ritorno in Parlamento. Non solo Rifondazione Comunista, Italia dei Valori e Verdi, ma anche Scelta Civica, il partito-atomo di ex montiani, dato allo 0,3, ma premiato dall’ultimo rimpasto (a partire dalla promozione del segretario Enrico Zanetti da sottosegretario a viceministro dell’Economia). Un altro piccolo segnale d’allarme arriva dall’affluenza che in una settimana cala del 5 per cento: dal 63,2 per cento del 29 gennaio al 58.
Riprende fiato, negli indici di fiducia, il governo Renzi. Dopo una discesa costante dall’estate scorsa fino a metà gennaio, con il minimo storico di popolarità del 27 per cento, ora l’esecutivo ha registrato un secondo lieve incremento, passando dal 28 al 29 per cento.
Tra i leader a raccogliere maggiore fiducia è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al 63 per cento, che peraltro incrementa il suo indice di popolarità del 2 per cento. Segue il presidente del Consiglio Matteo Renzi (32 per cento, +1), il vicepresidente della Camera e membro del direttorio M5s Luigi Di Maio (26%, +1) e il leader della Lega Nord Matteo Salvini (24, -1). Stabile al 24 la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
Dando uno sguardo alle tendenze degli ultimi due mesi pare che Renzi abbia raddrizzato la curva, risalendo negli ultimi 20 giorni (insieme al Pd), lo stesso accade – su valori più bassi – per Beppe Grillo, ma a sorpresa anche per Silvio Berlusconi.