La direttiva Ue e le norme italiane prevedono l'eliminazione dell'organico e la compressione dell'indefferenziato. Ma in molte zone del Paese questo non avviene: da Ragusa a Cortina, dalla Calabria alla Val d'Aosta. Il caso più complicato in Liguria. Dove a fare resistenza per anni è stata la giunta Burlando
A Palermo il 100 per cento dei rifiuti urbani sono stati smaltiti senza essere prima trattati. Vale a dire: senza aver tolto l’organico e poi compresso l’indifferenziato, come invece imporrebbe la direttiva europea 31 del 1999 e anche la normativa italiana dal 2003. Così, nel capoluogo siciliano, la discarica è diventata una montagna di 320 tonnellate di immondizia maleodorante e stracolma di percolato. Stessa storia a Ragusa, ma anche Matera, San Giovanni in Fiore (in provincia di Cosenza), Siculiana (Agrigento), Mazzarrà Sant’Andrea (Messina), dove le cause delle anomalie nel sistema di raccolta e smaltimento di rifiuti affondano nelle presunte infiltrazioni mafiose che avevano al loro centro proprio la discarica. Ma poi risalendo verso nord Borgo San Lorenzo (Firenze), Peccioli (Pisa), Sestri Levante (Genova), Vado Ligure (Savona) fino a Trento e Cortina, ambite mete del turismo ambientale “perbene”. Delle 173 discariche per rifiuti urbani in Italia, 143 hanno almeno qualche tonnellata di rifiuto non trattato, 36 sono totalmente “trattamento free”. Questi perlomeno sono i numeri contenuti nell’ultimo rapporto Ispra, rielaborato dai Radicali italiani con una mappa dettagliata delle discariche e annesse percentuali di materiale trattato, o meno, in ciascuna. In testa alla black list Sicilia, Calabria, Basilicata, dove si concentrano alcune delle discariche più grosse, maleodoranti e inquinanti del Paese.
Ma c’è anche tantissimo nord, con una costellazione di piccole discariche da bollino rosso. Come quella di Trento, appunto, che contiene 14.472 tonnellate di rifiuto totalmente non trattato. O Pontey, comune di appena 821 anime in Valle D’Aosta, con una discarica che contiene 5.133 tonnellate di rifiuti senza alcun trattamento. Non raggiunge il cento per cento per un soffio invece Asiago, in provincia di Vicenza, che D’Annunzio chiamò “la più piccola ma la più luminosa città d’Italia” e che è la patria del formaggio dop: qui i rifiuti non trattati sono il 97,67%. “Con questa mappa abbiamo voluto fornire ai cittadini uno strumento di conoscenza poiché quanto avviene in molte regioni italiane è in palese violazione del diritto comunitario – fanno sapere a IlFattoQuotidiano.it, Riccardo Magi e Valerio Federico, segretario e tesoriere dei Radicali – Dal rapporto Ispra emerge che in Val d’Aosta, Calabria, Sicilia, Liguria e Basilicata la percentuale di rifiuti smaltiti in discarica senza trattamento preliminare supera addirittura il 50%, con gravi danni per l’ambiente a causa della produzione di percolato e gas nocivi”.
L’Italia, d’altronde, non ne ha mai abbastanza di sanzioni. Ma, a questo giro, sono le Regioni a metterci del loro andando avanti a colpi di deroghe, in barba alla direttiva europea. Liguria docet: dal giorno alla notte si è trovata ricoperta di spazzatura, con tanto di maiale fotografato mentre grufolava fra i bidoni di Certosa, nella periferia di Genova. E adesso esporta buona parte dei suoi rifiuti urbani in altre regioni, perché non sa più dove metterli. Per anni la Regione – e con lei i gestori degli impianti – hanno bypassato la direttiva europea utilizzando una circolare del ministero dell’Ambiente del 2009, che permetteva deroghe alla normativa comunitaria. La Commissione europea contestò la procedura minacciando sanzioni e allora nel 2013 il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando emise un’altra circolare che, di fatto, cancellava la precedente e chiariva una volta per tutte che il rifiuto, per poter essere conferito in discarica, dovesse essere prima trattato.
Ma nulla. La Liguria non ha mollato. All’epoca presidente della Regione era Claudio Burlando e assessore all’ambiente Raffaella Paita, entrambi del Pd. Insieme promossero un disegno di legge, adottato poi dalla giunta nel 2014, con cui posticipavano al dicembre del 2015 il termine entro il quale gli impianti liguri di smaltimento dovessero adeguarsi agli obblighi di trattamento. Il governo lo impugnò di fronte alla Corte costituzionale e solo a quel punto la Regione fece retromarcia. Ma era già tardi: le discariche sono stracolme di rifiuto non trattato. Busalla, Vado Ligure, Varazze, Genova, Rezzoaglio, Sestri Levante, Uscio e Tribogna sono tutte indicate nella mappa dei Radicali con il bollino rosso.
Fosse solo questo: il quadro potrebbe essere ancora più drammatico. I dati forniti da Ispra infatti consentono di individuare solo i rifiuti non trattati, ma non la qualità di quelli trattati. “Non ci consentono cioè – continuano i radicali – di determinare quelli trattati in modo inadeguato”. Come la tritovagliatura (cioè la triturazione più la vagliatura del rifiuto), procedura di trattamento vietata dalla normativa europea. Ma solo in teoria. Il codice dei rifiuti trattati in questo modo, infatti, è uguale a quello dei rifiuti trattati con modalità adeguate. E allora ciao distinzione fra buono e cattivo trattamento.