Nella geopolitica delle risorse idriche in Medio Oriente ognuno vuole svolgere la sua parte. Se il presunto Califfato dell’Isis nel tempo ha ridotto i consumi idrici di Aleppo impossessandosi delle dighe in Siria, in Iraq la situazione desta ancora più preoccupazioni.
Oggi l’epicentro di questo nuovo scenario apocalittico è la diga di Mosul. L’azienda cesenate Trevi si è aggiudicata l’appalto per la ristrutturazione della diga nel nord dell’Iraq a poche decine di chilometri dall’area controllata dall’Isis. Il valore del contratto, che sarà firmato a breve, si aggira attorno ai 200 milioni di dollari. L’azienda nata nel 1957 porta il nome di Davide Trevisani.
Il gruppo Trevi è oggi un leader mondiale nell’ingegneria del sottosuolo e non solo. Attraverso la quotazione in borsa dal 1999 e acquisizioni importanti quali Icos, Swissboring e Rodio, le radici si sono allargate e sono diventate Trevi, Soilmec, Drillmec, Petreven ed Energy, raggiungendo una diffusione globale nei cinque continenti, contando 36 società e 45 sedi in 40 diversi paesi. Gli Stati uniti avevano ribadito l’urgenza di avviare lavori di restauro per evitare una “catastrofe”, evocata dai rappresentanti di Washington e di Baghdad sin dal 2007.
Il premier Matteo Renzi aveva annunciato la disponibilità ad inviare 450 militari italiani per difendere la diga, con altri 750 che già partecipano all’operazione “Prima Parthica”. I soldati, che potrebbero essere schierati a partire da maggio prossimo, dovranno difendere il cantiere e i circa 40 tecnici italiani che ci lavoreranno. La diga di Mosul fu inaugurata nel 1983 col nome di “Diga Saddam” ed è alta 131 metri e lunga 3,2 chilometri, ha una capacità di 11 miliardi di metri cubi d’acqua e fornisce elettricità a 1,7 milioni di abitanti della regione. La centrale principale ha una potenza di 750 megawatt e prevede un impianto ad accumulo per pompaggio con una potenza di 240 MW e un sistema ad acqua fluente di 62 MW a valle.
L’impianto è il più grande serbatoio d’acqua artificiale dell’Iraq, e il quarto nel mondo arabo e si trova 35 chilometri a nord di Mosul, nella provincia di Ninive. La diga ha un valore altamente strategico perché regola l’intero flusso del Tigri in territorio iracheno. Ma il Tigri nel suo corso taglia a metà un’altra cittadina non lontana da Mosul. Si tratta di Hasankeyf, perla della Turchia sud orientale, ai margini del Kurdistan, oggi una “dead city walking”. Da più di un decennio, infatti, questa incantevole cittadina vive sotto la minaccia della diga di Ilisu: un progetto faraonico che quando sarà completato manderà sott’acqua l’intero borgo e i suoi monumenti tranne una parte del minareto.
Oggigiorno ancora più di qualche anno fa controllare il corso del fiume Tigri con i suoi depuratori, desalinatori etc. significa avere in mano le sorti non solo di un conflitto ma di quella parte di territorio strategica dal momento che ogni anno i periodi di siccità aumentano con il diminuire delle piogge. C’è infatti un serio rischio secondo degli studiosi che entro il 2040 tanto il Tigri quanto l’Eufrate non saranno più in grado di sfociare nel Golfo Persico. Gli Usa tutto vogliono tranne tornare a combattere una guerra terrestre in Iraq ma intanto ci tengono a tutelare degli obiettivi strategici. Il presunto Stato Islamico controlla quasi completamente la valle dell’Eufrate, mentre l’altro fiume gemello, il Tigri, corre seri rischi a cominciare da quello di assetare l’Iraq.