Quando ho letto che alcuni brigatisti, pm e familiari delle vittime si sono incontrati per «diradare le nuvole», speravo di leggere qualche inedita informazione sul caso Moro o sul sequestro Cirillo. In realtà si dava conto del percorso di “giustizia riparativa” intrapreso da alcune persone e delle opposizioni, dentro e fuori la Magistratura, ad una richiesta di ospitalità dei protagonisti di quel percorso.
Premetto: la definizione “anni di piombo” è fuorviante e sostanzialmente sbagliata. Forse sarebbe più appropriato definirli “anni affollati”, come da anni suggeriscono le studiose Cinzia Venturoli e Ilaria Moroni. Basti pensare alle riforme progressiste realizzate negli anni 70. Forse il decennio più “lungo” del Novecento.
Sull’incontro tra carnefici e vittime di cui leggo sui giornali, penso sia necessario tenere presente che per tanti altri familiari di vittime e feriti (parenti 2 agosto o uno bianca, per esempio) la premessa è: “Volete incontrarci? Prima raccontate ai magistrati quello che ancora non avete raccontato”. E questo vale per i membri delle Br, di Ordine Nuovo, dei Nar, come per i fratelli Savi (sebbene questi ultimi non siano formalmente catalogati alla voce “terroristi”, pur avendo seminato terrore tra il 1987 e il 1994), ecc.
Pertanto, pur rispettando il percorso individuale di persone eccezionali come Manlio Milani e Agnese Moro, bisogna fare attenzione al rischio di voler dare alle loro scelte un valore esemplare. Tanti altri rifiutano parole come “incontro”, “riconciliazione” o “perdono”. Come biasimarli?
In assenza dell’ammissione di tutte le proprie responsabilità, il sospetto che certi ex terroristi vadano alla ricerca di uno sconto di pena – e/o di una “riabilitazione” pubblica – è legittimo.
Il fatto che Francesca Mambro e Giusva Fioravanti siano liberi da anni, pur non avendo collaborato con i magistrati per fare piena luce sulla strage del 2 agosto, la dice lunga. Si può anche decidere di abolire l’ergastolo. Ma cosa c’entrano la funzione rieducativa della pena e la “giustizia riparatrice” quando a due terroristi neofascisti, mai pentiti, viene concesso di sposarsi e procreare in carcere, ripulirsi l’immagine – grazie, tra gli altri, al “compagno radicale” Sergio D’Elia, anch’egli condannato in quanto complice di un omicidio, e all’associazione Nessuno tocchi Caino – e, infine, uscire dal carcere dopo nemmeno 20 anni di reclusione, nonostante 7/8 ergastoli?
Non dimentichiamo che l’ordinovista Vincenzo Vinciguerra, unico reo confesso per una strage (Peteano, 31/5/1972), è ancora in carcere. Pur avendo fornito alla magistratura informazioni importanti. Come sempre il nocciolo della questione sembra stare nei due pesi e due misure.
Facciamo attenzione alle domande che decidiamo di porci. Chi sono i vinti e i vincitori di quella stagione controversa? Lo Stato? L’Antistato? La democrazia? Le mafie? Tina Anselmi o Giulio Andreotti? Berlinguer o Napolitano? Perché dell’importantissima sentenza di fine luglio su Piazza Loggia non si scrive e non si parla sui giornali e in tv? Quanti italiani sanno chi è Carlo Maria Maggi e cos’era Ordine Nuovo? Chi era lo specialista coinvolto nel commando che sparò in via Fani? Perché le BR non hanno mantenuto la promessa di raccontare al popolo tutti i segreti raccolti nei successivi 54 giorni? Quei simpatici professori della seduta spiritica ci faranno la cortesia di dirci la verità su cosa si dissero la sera in cui a Bologna qualcuno sussurrò la parola “Gradoli”? Siamo disposti a credere che dietro l’omicidio di Marco Biagi ci siano solo le cosiddette “Nuove Brigate Rosse”?
Naturalmente alcune domande dovrebbero chiamare in causa anche le forze politiche, non solo i terroristi. Perché, nonostante il grave fallimento come ministro degli Interni, Francesco Cossiga prima divenne Presidente del Consiglio poi, nel 1985, Presidente della Repubblica al primo colpo, anche con i voti del Pci orfano di Berlinguer (eccetto alcuni indipendenti di sinistra che votarono Norberto Bobbio)?