Dopo l’orrendo carpiato del Movimento Cinque Stelle sulle unioni civili, oggi contempliamo un altro mistero glorioso, quello di un “candidato della Nazione“, Beppe Sala, che porta al voto delle primarie milanesi in massa la comunità cinese, internazionalizzando dunque il voto secondo la massima: “La globalizzazione è delle merci, non delle persone; ma, eventualmente, delle persone esclusivamente nel loro aspetto di merce”. Come nel caso, appunto, degli immigrati cinesi che rispondono a un richiamo del capo della comunità: il voto non come espressione di un processo di elaborazione individuale che contribuisce a costruire una comunità, ma come risposta automatica a uno stimolo verticistico.
Questa non è “integrazione”. L’integrazione non passa per i pacchetti di voti spostati da capibastone (o capiclan, o referenti “etnici”), ma attraverso una mobilitazione delle coscienze individuali che interagiscono singolarmente, e sviluppano una reale partecipazione attiva ai processi decisionali di una comunità (in tal caso, propriamente, si dovrebbe parlare di “interazione”). I voti acquisiti in pacchetti, invece, ricalcano e rafforzano le gabbie, la segregazione tra identità differenti che tali devono restare, le gerarchie interne a ogni gabbia identitaria.
Di tutto questo, però, non ci si deve stupire: è la politica moderna che funziona così, per lobby, per gruppi di interesse. Non si vede perciò perché nel settore “etnico” le cose dovrebbero andare diversamente. Stupirsene, come fanno molti giornali che in tutti gli altri casi non hanno nulla da eccepire, suona proprio come un caso di “falsa coscienza”, venata da coloriture razziste. Se Sala è, come molti dicono, espressione dei poteri forti di Milano, in questo caso non ha fatto altro che aggiungere alla lista un altro “potere forte”, che ha il dono di manovrare un assai consistente numero di voti. Ancora una volta, in folgorante stile neo-democristiano.