Quando si era sparsa la notizia che Beppe Grillo, stufo di un decennio consacrato alla militanza, aveva deciso di tornare a calcare i palcoscenici da comico, un intelligente amico cinquestelle mi aveva detto sottovoce: “Che bella notizia!”. Nella consapevolezza che l’unico soggetto politico alternativo a Renzi e al partito della Nazione, oggi in campo, non può giocare la propria partita liberamente fino a quando non conquista la necessaria autonomia; una volta pagati i debiti politici e affettivi maturati nei confronti dei padri fondatori. Ovvero, liberarsi dai condizionamenti di chi controlla – attraverso la proprietà del marchio, i canali di costruzione del pensiero collettivo e non solo – i meccanismi che determinano il pensiero pensabile. Con i rischi di conformistizzazione più volte rilevati; il controllo costante del vertice – e non di rado secondo criteri arbitrari – sulle espressioni collettive.
Finalmente sembrava che il lungo patriarcato fosse giunto al termine e la seconda generazione del Movimento potesse iniziare a muoversi con le proprie gambe. Poi c’è stata ieri l’inattesa irruzione del guru, sovvertendo le posizioni acquisite su un punto qualificante e sensibile quale la stepchild adoption (la possibilità di adottare il figlio del partner di uguale sesso). Scelta di civiltà, che si faceva forte del consenso altamente maggioritario degli iscritti e, sino a quel momento, ribadita dal gruppo parlamentare con un’affermazione perentoria: “non votiamo la legge Cirinnà se solo viene toccata una virgola”. Il “liberi tutti” parlamentare di Grillo dice alcune cose su cui i quadri del Movimento dovrebbero riflettere, per poi invitare il padre padrone a prendersi una pausa di riflessione (e mollare la presa):
1. l’appello alla “libertà di coscienza”, nel suo gergo paleo-democristiano, è – in effetti – un tacito accantonamento di ogni disciplina di gruppo che rende ulteriormente esposti i parlamentari 5S alle manovre e alle pressioni (dei Bagnasco con o senza gonna) per far fallire nella sua interezza una legge da Paese evoluto. Difatti Angelino Alfano è immediatamente ringalluzzito, intravedendo spazi di manovra prima preclusi;
2. L’avversione implicita nei confronti della stepchild rivela sia il calcolo – pura politica politicante – di catturare un elettorato bigotto e reazionario, in base ai confusi criteri di marketing elettorale omnibus, già lasciati trapelare altre volte (ad esempio sulla cittadinanza ai nati extracomunitari), quanto la vera cultura politica di Grillo; il quale – dietro il giochino “non esiste distinzione tra destra e sinistra” – conserva il bagaglio culturale da bar sport (machista, omofobo, xenofobo) e piccolo borghese (anti-operaio). Un mix retrò, che ai fedeli più fanatizzati sembra il massimo del post-moderno;
3. Giustificando con la propria marcia indietro quella di Renzi, si dà – inconsciamente? – una bella accelerata alla fondazione del Partito della Nazione, accreditando con la ritirata dei cinquestelle l’idea che la governabilità non può fare a meno dei Verdini (e dei Cuffaro). Fermo restando che questo non sia un effetto voluto, anche se parrebbe che i Fondatori non vogliano vincere né a Roma e né a Milano. Magari giustificandosi con la barzelletta alla De Coubertin per cui “non conta vincere ma partecipare”: la palese smentita delle promesse fatta agli elettori chiedendo loro il voto;
4. La svalutazione di principi e valori, ridotti a formalismi presunti salvifici (tipo quello secondo cui il meglio piazzato a vincere a Roma non deve candidarsi per statuizioni astratte) di un catechismo annichilente, che si presume il massimo della nuova politica ed è solo la rivisitazione della regola gesuitica; secondo cui i seguaci di Ignazio de Loyola dovevano rinunciare a pensare per un’obbedienza perinde ac cadaver. Quando la politica è adattabilità al contesto coniugata con l’intransigenza sui fini ultimi. Non il Talmud.
Ripeto, mentre Renzi perde credibilità e mantiene la presa elettorale solo per carenza di alternative, occorrerebbe che l’unica opposizione si liberasse delle zavorre sviluppando appieno buona politica per l’alternativa al regime (a partire dal dialogo e dalla partnership con pezzi di società, anch’essi contrari al regime ma non disponibili a diluirsi nel Movimento). Consapevole che il tempo delle gag è finito.