L‘ipocrisia che opprime, come una cappa, il nostro Paese non risparmia, anzi alberga incessantemente, nei Beni Culturali, alimentata da pseudo intellettuali, politicanti e poteri forti. L’apice si è toccato nella disgustosa vicenda delle statue inscatolate, ma si alimenta quotidianamente, con un melassa disgustosa di luoghi comuni e parole vuote sul tema cruciale delle destinazioni d’uso.
Ogni proposta concreta di riuso viene tacitata come lesiva della dignità del bene architettonico, come oltraggio al monumento e al bene comune. Gli spazi, secondo costoro, andrebbero unicamente recuperati per usi “cosiddetti sociali” oppure unicamente museali, per non apparire impropri, ponendo quindi discriminanti ideologiche e modaiole. Proposte sconcertanti di uso “politicamente corretto”, ma inadeguato per il bene architettonico, vengono sovente appoggiate da gruppi finanziari che, per rifarsi la verginità, sposano idee da centri sociali, velleitarie quanto enormemente costose per la collettività, che dovrebbe poi sostenerle.
Tenuto conto che il debito pubblico sale e non c’è nessuna volontà di ridurre spese, privilegi di casta, prebende, indennizzi, stipendi faraonici, vitalizi, doppie e triple pensioni, corruzione, parcelle stratosferiche di progettisti proni al potere, ben vengano privati illuminati che, anziché consumare ulteriormente il suolo, come volevano fare gli speculatori a Capo Malfatano in Sardegna, investano sul recupero.
Viceversa coloro che spesso propongono inutili quanto onerosissime destinazioni, corredate da brutti progetti, sono gli stessi appartenenti a ad una casta politico/finanziaria intellettualoide che spreme le esangui perché dilapidate risorse pubbliche. Il mix è sovente letale ed il risultato è paragonabile allo speculatore puro dell’Italia immobiliarista/palazzinara anni 50, anzi l’inutilità di certe proposte, oltre la bruttezza del restauro, o meglio ristrutturazione, sono un insulto a quella cultura che costoro invocano a sproposito.
Una delle poche menti illuminate è lo storico del Restauro Bruno Zanardi che a più riprese si è pronunciato nella tutela attiva e non museificante delle città, dicendosi favorevole all’uso abitativo di caserme, rocche, etc… Perché l’obiettivo è la conservazione, la tutela ed il riuso intelligente attuato attraverso un rigoroso restauro; e per riuso intelligente intendo anche quello, perché no, con ritorni economici per la collettività.
Cosicché lo straordinario, per numero e bellezza, patrimonio demaniale italiano, giace da decenni nel degrado in attesa d’una destinazione d’uso appropriata, non solo dal punto di vista conservativo ma anche politico anzi “politicamente corretto”. Addirittura, i talebani della conservazione (non certo le Soprintendenze), sono poi gli stessi che impediscono di fatto il restauro, s’indignano persino quando nei saloni delle feste dei palazzi storici, vengono organizzati eventi o quando dimore storiche vengono riusate per le stesso nativo scopo residenziale.
Ora gli addetti ai lavori sanno benissimo che in una rifunzionalizzazione, occorre osservare scrupolosamente (pena la non ammissibilità del progetto) la normativa per la singola destinazione d’uso, e questo vale sia per uso cosiddetto sociale che privato. Molti storici poi, assimilano i quadri, le statue, gli affreschi al patrimonio architettonico: ma la grande differenza tra queste espressioni d’arte è che le prime sono state create per il godimento visivo, l’edificio storico è stato creato non solo per essere visto, ma per essere vissuto nelle varie funzioni residenziali o terziarie, con all’interno persone, cose, vita reale. Anzi, più è vissuto, meglio si conserva: niente sarebbe rimasto della Reggia di Caserta o del contesissimo Palazzo Barberini di Roma se, anziché desolatamente vuoti, si fossero insediati per molti anni i militari.
Si arriva all’assurdità che il Demanio, detentore di molte pregevoli proprietà, emetta Bandi per la ricerca di immobili imponenti per le amministrazioni pubbliche, come recentemente per Brescia, Napoli, Udine e Ferrara.
L’annuncio di Renzi, di pochi giorni fa, di trasformare, ora che è in completo degrado e per cui non saranno sufficienti gli 80 milioni stanziati, il carcere borbonico di S. Stefano a Ventotene in una residenza universitaria di lusso per l’elite europea, stride con il timore di diversi anni fa di qualcuno a trasformarlo in resort, come del resto è avvenuto in diversi paesi. Nell’isolotto di Langholmen in Svezia, negli Usa all’ex penitenziario di Boston del 1850, o in Turchia ove la catena del Four seasons ha riconvertito in hotel deluxe l’ex prigione neoclassica sul Mar di Marmara, oltre al celeberrimo Librije Hotel a Zwolle in Olanda, ricavato da un carcere del 1715. E l’elenco potrebbe continuare.
Qualcuno obietterà che il ricordo degli illustri “ospiti”, da Pertini a Spinelli, non poteva essere “vilipeso” con l’idea di un hotel, ma, poiché il fine annunciato ora è ricettivo e convegnistico, con l’apporto, magari fantasioso di elementi di contemporaneità, tanto valeva renderlo agibile diversi anni fa attraverso un rigorosissimo restauro filologico ed opportuni spazi e riferimenti artistici di doverosa memoria ai Padri della Patria.
La bellezza si può difendere, conservare ed esaltare anche con un uso “laico” aperto e non esclusivamente gravato di ulteriore spesa pubblica.