“Il problema non è l’Italia, ma il mercato che è allo sbando. Servono certezze e invece prevale la delusione per quello che non fanno i governi”. E’ l’impietosa analisi dell’economista Giacomo Vaciago sull’andamento delle borse europee, che martedì hanno registrato l’ennesimo tracollo. Tutto il Vecchio continente ha archiviato la seduta in rosso e Milano ha perso un ulteriore 3,2 per cento. Peggio solo il listino di Atene, a -3,8%, mentre Madrid ha contenuto il calo al 2,8%. Parigi ha chiuso in ribasso dell’1,69% e Francoforte dell’1,11 per cento. Sul mercato obbligazionario tornano nel mirino delle vendite i titoli di Stato della Grecia. Dove in questi giorni, complice la discussione della nuova riforma delle pensioni imposta dalla troika, sta andando in scena un déjà vu della crisi della scorsa estate. Lo spread fra il decennale ellenico e il Bund tedesco è tornato ai massimi dall’agosto 2015, sfondando il tetto dei 1.000 punti per chiudere a 1.055. Si raffredda invece leggermente la febbre sui titoli di Stato italiani e spagnoli: il differenziale di rendimento tra Btp a dieci anni e Bund è calato a quota 145 punti dai 146 di lunedì, quello tra Bonos e Bund è sceso da 153 a 152.
Vaciago: “Ai mercati servono certezze. Lagarde e Juncker dicano cosa intendono fare” – Il problema “non sono le singole schegge, ieri Mps e Deutsche Bank, ma il vetro che si è rotto e che bisogna assolutamente aggiustare“, argomenta Vaciago. I governi”, secondo il docente della Cattolica, “si limitano a fare conferenze stampa senza risolvere i problemi”. Problemi che “ci sono e ormai vedono tutti”. “Draghi ha indicato i fenomeni che producono deflazione, come il petrolio, ma nel frattempo”, nota Vaciago, “è esplosa la Borsa cinese e la Yellen (numero uno della Banca Centrale Usa, la Fed, ndr) ha alzato i tassi Usa dicendo che l’economia andava bene, ma non era vero”. A pesare è anche il fatto che “Juncker ha annunciato un piano di crescita due anni fa, che però va avanti con il contagocce ed è una delusione”. A livello mondiale, poi, “la Cina continua a sprecare risorse senza essere in grado di governare l’economia e riesce solo a buttare sul mercato dei cambi la valuta accumulata negli anni passati”. Per questo l’economista si augura che “quanto prima Lagarde e Juncker, anziché fare prediche, annuncino quello che intendono fare per stimolare la crescita, perché i mercati hanno bisogno di certezze”. Mercoledì, intanto, parlerà al Congresso Usa la Yellen, al suo primo intervento pubblico da quando a dicembre la Federal reserve ha deciso il primo rialzo dei tassi dal 2006. Secondo gli analisti, non dovrebbe indicare nessun aumento dei tassi in marzo e dovrebbe mostrarsi cauta sul futuro, mettendo in evidenza che l’economia americana è solida e le difficoltà arrivano dall’esterno.
Messori: “Per evitare di tornare a una crisi tipo 2011 servono iniziative forti” – “Qualsiasi economista si chiede se siamo tornati alla crisi finanziaria del 2011, con un tracollo del settore bancario e la tensione sugli spread. Non ci siamo, o almeno non ancora”, commenta Marcello Messori, direttore della Scuola di economia europea della Luiss. Fanno da scudo l’irrobustimento delle istituzioni europee e l’unione bancaria, il quantitative easing della Bce e una politica di bilancio dell’Unione europea “moderatamente espansiva”. Ma “è cruciale almeno una garanzia comune dei depositi. E per evitare che passo dopo passo si torni al 2011 occorrono iniziative molto forti di policy”. Infatti “rispetto a un anno fa il quadro macroeconomico sta peggiorando, non solo nei Paesi emergenti ma anche in Cina e negli Usa dove la crescita è sempre più fragile: forse sono vicini al punto di inversione del loro ciclo economico” dopo una lunga fase di crescita. In più “l’Europa e l’Italia hanno ancora tassi di crescita troppo modesti. In questa situazione manca un motore di crescita globale“. Occorre quindi rilanciare la domanda aggregata in Europa e rafforzare la produttività, spiega Messori. Ma resta anche da sciogliere il nodo delle banche: “In qualche misura viene al pettine una questione evidenziata più volte dal Fondo monetario internazionale, che il settore bancario europeo ha fatto una pulizia incompleta delle scorie della crisi del 2007-2009″ e, per l’Italia, dei prestiti problematici. Una situazione esacerbata dall’entrata in vigore delle nuove regole europee.
Listini europei ancora in rosso, Milano seconda solo ad Atene – Martedì nessun rimbalzo per i listini europei, che hanno aperto di nuovo deboli in scia a uno scivolone dei mercati asiatici. Tokyo ha infatti chiuso a -5,4% e Sidney a -2,88%, mentre Shanghai, Hong Kong, Seul e Taiwan rimarranno chiuse fino al 10 febbraio per il capodanno cinese. Milano e gli altri listini principali, dopo un iniziale recupero, sono tornati in rosso e sul finale hanno aggravato le perdite. A Piazza Affari sono crollate Ubi Banca, Popolare di Milano, Banco Popolare, tutte in perdita di più dell’8% e Unicredit, che ha lasciato sul terreno il 7% dopo la presentazione dei risultati 2015. Riammessa alle negoziazioni dopo una sospensione per eccesso di ribasso, è tornata a perdere terreno quando il consiglio di amministrazione ha rinnovato al fiducia all’ad Federico Ghizzoni. In calo anche Intesa, a -6 per cento. Il Monte dei Paschi di Siena ha aggiornato il minimo storico: con le azioni a quota 0,5euro, la capitalizzazione è scesa sotto 1,5 miliardi di euro. In un mese l’istituto senese ha lasciato sul terreno il 51,73 per cento.
Ha sofferto ancora, dopo il -7,8% di lunedì, la borsa di Atene, che sconta i timori per la tenuta del governo Tsipras. La troika, per sbloccare la prossima tranche di aiuti, chiede l’approvazione di una nuova riforma delle pensioni, mentre nel Paese sono ricominciate le proteste di piazza. A picco soprattutto i titoli bancari. Fonti finanziarie hanno fatto sapere che la vigilanza della Bce ha sollevato dubbi e chiesto chiarimenti sulle modalità di ricapitalizzazione degli istituti ellenici che non ricadono direttamente sotto la sua competenza, a partire da Attica Bank.
A Francoforte Deutsche Bank nel mirino – Male anche Francoforte, dopo l’inatteso calo della produzione industriale che a dicembre è scesa per il secondo mese consecutivo: -1,2% su novembre. Il surplus commerciale di Berlino è poi calato a 18,8 miliardi di euro, dai 20,5 miliardi del mese precedente e sotto i 20 miliardi stimati dal mercato. Nell’intero 2015 l’export di Berlino ha comunque segnato un nuovo record, aumentando del 6,4% rispetto al 2014. A zavorrare il listino di Francoforte è stata anche la pessima performance di Deutsche bank, che ha ceduto un altro 5,07% in scia alle preoccupazioni del mercato sulla sua liquidità. Il co-amministratore delegato John Cryan è stato costretto a inviare ai dipendenti una lettera in cui chiede di “comunicare ai clienti che Deutsche Bank resta assolutamente e fondamentalmente solida, data la sua forte posizione di capitale e sul rischio”. Quanto alle indiscrezioni sugli accantonamenti dell’istituto per i crediti in sofferenza, che sarebbero insufficienti, il manager scrive di “non condividere in alcun modo” queste preoccupazioni: “Molto probabilmente aumenteremo gli accantonamenti nel corso dell’anno, ma questo è già stato preso in considerazione nel nostro piano finanziario”.
Stabile lo spread Btp-Bund. Ma gli investitori puntano sui titoli dei Paesi più solidi – Si allentano le tensioni sul debito sovrano. Il differenziale di rendimento (spread) tra i Btp e titoli di Stato tedeschi a dieci anni ha chiuso a 145 punti dopo aver toccato in mattinata i 153. Il rendimento del decennale italiano si è attestato all’1,68%, mentre il tasso di interesse pagato dai Bund è risalito leggermente allo 0,24%. Stabile anche il differenziale rispetto ai Bonos decennali che ha terminato a 152 punti, con i titoli spagnoli che rendono l’1,75 per cento. Innegabile che in generale, in un clima di incertezza sull’evoluzione dell’economia mondiale e con il prezzo del petrolio che non accenna a risalire, l’avversione al rischio stia aumentando. Lo dimostra il fatto che da inizio 2016 il tasso sui titoli di Stato decennali statunitensi, che sono considerati un rifugio sicuro, è scivolato ai minimi degli ultimi mesi, poco sopra 1,7 per cento. Oggetto di acquisti anche i buoni del Tesoro giapponesi, il cui rendimento martedì è sceso sotto zero per la prima volta nella storia. In rialzo anche le quotazioni dei tradizionali beni rifugio: l’oro da fine gennaio ha innescato una corsa al rialzo, facendo un percorso inverso a quello delle borse.