Donald Trump per i repubblicani. Bernie Sanders per i democratici. Sembrano esserci pochi dubbi su chi stasera festeggerà la vittoria nelle primarie del New Hampshire. Tutti i sondaggi delle ultime ore sono concordi. Trump sarebbe avanti sul secondo (che dovrebbe essere Marco Rubio) con un vantaggio che va dagli 11 ai 21 punti. Sanders è davanti alla Clinton con un margine altrettanto largo: tra i 16 e i 26 punti. In attesa delle conferme – in New Hampshire il 40 per cento dell’elettorato è indipendente e oscillazioni sono sempre possibili – il voto di oggi offre una serie di temi e suggestioni interessanti.

Bernie Sanders, la forza delle aspettative – La vittoria di Bernie Sanders dovrebbe essere ampia. Il New Hampshire confina con il Vermont, lo Stato del senatore Sanders. E il New Hampshire presenta un elettorato democratico congeniale a Sanders: bianco, progressista, indipendente. Ecco perché, se vuole restare competitivo anche nelle prossime settimane, Sanders deve tenere fede alle aspettative e vincere alla grande. Un recupero della Clinton potrebbe invece bloccare lo slancio della campagna di Sanders e aprire scenari poco favorevoli per il futuro.

Hillary Clinton, donne e democratici – C’è nervosismo nel team Clinton. La vittoria risicata in Iowa ha avuto l’effetto di una sberla. Si dice che Hillary e Bill siano irritati con il proprio staff, ritenuto responsabile del risultato e in generale di un messaggio politico piuttosto pallido. In partenza sarebbe uno degli strateghi della Clinton, Joel Benenson. Le difficoltà hanno fatto scattare l’emergenza. Nel week-end è calata sul New Hampshire Madeleine Albright, l’ex-segretario di stato di Bill Clinton, che si è rivolta alle donne dicendo di “fidarsi di Hillary”. Le donne però in New Hampshire preferiscono Sanders, 51 per cento contro 46. Nel week-end è arrivato anche Bill Clinton, che con la grazia che lo contraddistingue quando si tratta di difendere la carriera politica della moglie, ha dato a Sanders dell’“ipocrita e disonesto”. Bill Clinton doveva servire a riconquistare i democratici registrati del New Hampshire, che però continuano a preferire Bernie a Hillary. In conclusione, la Clinton è favorita, ma se vuole prevalere in tempi relativamente brevi deve riconquistare gruppi essenziali dell’elettorato democratico.

Il messaggio democratico – La questione del messaggio è, per Hillary Clinton, legata a quella dell’elettorato. La Clinton sta perdendo la battaglia. Un sondaggio effettuato tra i democratici, fuori dei seggi in Iowa, mostra che per il 27 degli elettori progressisti le diseguaglianze sociali sono il problema più importante. Non il lavoro, non l’incertezza economica, bensì le diseguaglianze. Si tratta di un numero in salita, rispetto a qualche settimane fa, e spiega l’impennata della campagna di Sanders. Il senatore del resto è riuscito a toccare una corda potente – “L’America è troppo diseguale” – e su quella batte con decisione. La Clinton prima si è presentata come la pragmatica con la lista delle cose da fare. Travolta dalla forza ideale del suo rivale, ha spiegato che anche lei “condivide i temi della giustizia sociale” ma vuole arrivarci per gradi. Troppo poco, troppo tardi e troppo poco convincente. Con una postilla. La Clinton non riesce a levarsi di dosso l’immagine del candidato dei “poteri forti”. La storia dei 650 mila dollari per tre conferenze a porte chiuse a Goldman Sachs – il cui contenuto lei non vuole rivelare – continuano a fare un pessimo effetto. Il Super PAC che raccoglie finanziamenti per la candidata – Priority USA Action – resta al centro di polemiche sulla provenienza dei finanziamenti. Negli ultimi giorni l’attenzione della stampa si è per esempio fissata su Haim Saban, producer israelo-americano che contribuisce con milioni di dollari alla campagna della Clinton (e che pare dietro la veemenza con cui la candidata combatte le azioni di boicottaggio e disinvestimento in Israele).

Donald Trump, il tutto per tutto – Il magnate repubblicano non ha più scuse. Il New Hampshire non ha una percentuale di elettorato evangelico così ampia come l’Iowa, bensì presenta molti indipendenti, sensibili dunque al messaggio di Trump. Per il miliardario si prospetta un’unica soluzione: vincere in modo chiaro, inequivocabile. Qualsiasi cosa meno di una vittoria ampia verrebbe considerata una quasi sconfitta. Il partito repubblicano da mesi fa di tutto per levarsi di mezzo Trump; la stampa lo bracca alla ricerca di scandali e polemiche. Nel dibattito repubblicano di sabato lui è apparso spento, capace come sempre di scandalizzare e non di articolare – la nuova sparata è stata sulla tortura: “Farò molto di peggio del waterbording contro i terroristi”, ha promesso. Una sua vittoria convincente in New Hampshire gli permetterà di restare a galla e alimentarsi, come ha fatto sinora, di campagne mediatiche e frustrazione dell’elettorato. Una vittoria di misura potrebbe essere l’inizio della fine.

Marco Rubio, stella o abbaglio? – Se il dibattito di sabato è stato deludente per Trump, per Marco Rubio si è trattato di un disastro. Dopo il secondo posto in Iowa, e dopo che la leadership repubblicana ha cominciato a guardare a lui come una possibile alternativa a Trump – conservatrice ma di establishment – Rubio è diventato il bersaglio degli attacchi di tutti. Incapace di tenervi testa, divorato dallo stress, Rubio durante il dibattito di sabato ha ripetuto per ben tre volte la stessa frase, evidentemente mandata a memoria, ed è stato ridicolizzato da Chris Christie. “Non sei all’altezza di essere presidente degli Stati Uniti”, gli ha detto Cruz. La misera performance sta provocando dubbi e secondi pensieri tra i big del partito, che si chiedono se il giovane e promettente senatore sia davvero l’uomo giusto per novembre. In New Hampshire Rubio deve confermare il secondo posto dietro Trump. Poi mostrare di essere più in controllo della sua figura di candidato.

Chi è il terzo? – Il campo repubblicano resta intasatissimo. Probabile che il New Hampshire serva a depennare qualche nome. Possibile l’uscita di scena di Carly Fiorina e di Ben Carson, le cui candidature non sono mai decollate. Ted Cruz potrebbe riservare delle sorprese, ma il suo voto sembra ancora troppo legato agli evangelici, poco numerosi in New Hampshire. Resta un terzetto di governatori o ex-governatori: Chris Christie, Jeb Bush, John Kasich – diversi per personalità, simili nell’incarnare l’ala governativa del partito. Chi, del gruppo dei governatori, dovesse essere capace di piazzarsi al terzo posto, potrebbe incarnare un’alternativa moderata a Marco Rubio.

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