Dovrà chiarire perché il finanziamento straordinario per il Fereggiano fu utilizzato in sostanza per un progetto di viabilità. Nel processo imputata l'ex sindaco di Genova Marta Vincenzi
Milioni di euro per un’opera che doveva mettere al sicuro dalle alluvioni e invece, secondo alcuni tecnici, sarebbe stata inutile. Peggio, secondo altri ingegneri l’avrebbe addirittura favorita. Non sarà una testimonianza facile oggi per Claudio Burlando al processo per l’alluvione 2011 in cui è imputata l’ex sindaco di Genova, Marta Vincenzi. Bisogna capire cosa provocò il disastro, come fu gestito l’allarme e cosa si decise di dire dopo la tragedia. L’ex governatore – che non è indagato, ma testimone – dovrà probabilmente anche raccontare della piastra di cemento e del parcheggio che fece costruire a monte di Largo Merlo. Il dubbio di alcuni tecnici in soldoni è questo: il finanziamento straordinario era per la messa in sicurezza del torrente, con la riduzione del rischio di alluvioni, ma in realtà si trattava sostanzialmente di un progetto di viabilità, praticamente la creazione di parcheggi su una nuova copertura del torrente già “soffocato”.
Ma Burlando dovrà anche dribblare una questione che da giorni riecheggia in tribunale a Genova: i rapporti tra l’ex governatore ligure e il giudice del processo. Tutto comincia nel 2010 quando l’allora presidente della Regione – e Commissario straordinario del governo – annunciò soddisfatto la spesa di 9,7 milioni per il rio Fereggiano, responsabile di tante alluvioni. Parte consistente della cifra fu utilizzata proprio per quella copertura del torrente con parcheggi. “Un progetto che ha portato tanti bei posteggi, tanti finanziamenti, ma non ha aumentato la sicurezza”, disse da subito Christian Abbondanza, presidente della Casa della Legalità.
Adesso ecco la consulenza tecnico scientifica dell’ingegner Marco Mancini, ordinario di costruzioni idrauliche al Politecnico di Milano. È stata depositata agli atti del processo. Il professore scrive: “Questi lavori hanno di fatto migliorato la capacità di deflusso a monte, ottenendo sì l’effetto di riduzione locale del rischio di esondazione, ma allo stesso tempo trasferiscono a valle quella maggiore portata che ha di fatto colà aumentato il rischio, contribuendo a enfatizzare la violenza e la rapidità dell’esondazione a valle”. Come dire: tolto il tappo a monte, si sono peggiorati i danni a valle. Mancini aggiunge: “Tale tipo di intervento, sebbene abbia risolto localmente importanti problematiche viabilistiche e nel contempo migliorato localmente le insufficienze idrauliche ha però ignorato gli effetti peggiorativi sulle sezioni di valle addirittura acuendone la pericolosità”. Insomma: i lavori per mettere in sicurezza il Fereggiano, l’avrebbero – secondo Mancini – reso più pericoloso.
Perché si decise di realizzare quel progetto? Le indagini hanno raccontato tanti retroscena: la Direzione Ambiente della Regione, con la dottoressa Gabriella Minervini, inizialmente bocciò il progetto proposto ma poi, senza che questo fosse sostanzialmente modificato, diede il via libera. Come è stato scelto questo intervento e come sono state individuate le imprese? Pochi giorni dopo la chiusura del cantiere arrivò il disastro a valle, dove il Fereggiano è “esploso” seminando morti. Burlando è chiamato ora a rispondere al magistrato come testimone. Ma ecco il secondo nodo da sciogliere: il giudice Adriana Petri è moglie di Giorgio Giorgi (e socia in una immobiliare), già tesoriere della campagna elettorale di Burlando. Quel Giorgio Giorgi che era iscritto al circolo politico dell’ex governatore, il Maestrale. L’avvocato che faceva parte del cda della società – controllata da Monte dei Paschi di Siena – che doveva realizzare un megaporticciolo da oltre mille posti alla foci del Magra (che provoca alluvioni un anno sì e l’altro pure). Un progetto voluto fortissimamente dal centrosinistra ligure. Giorgi che ha occupato tra l’altro poltrone in Invitalia, Fincantieri, in società del gruppo Finmeccanica e nella finanziaria Filse della Regione Liguria.
Così in tribunale a Genova c’è chi si domanda: “Il giudice, in teoria, valuta se il testimone possa divenire un indagato. Magari non è un caso di incompatibilità, ma non ci sarà almeno una questione di opportunità?”.