Ci sono i conti, brutti come e anche più delle attese, ma a pesare più di ogni altra cosa è la perdita totale della fiducia. Quella dei soci-clienti che non sembrano per nulla disposti a partecipare agli ormai imminenti aumenti di capitale e che in diversi casi hanno già cambiato banca e quella dei dipendenti che vedono i dirigenti andarsene in altri istituti portandosi dietro la clientela più facoltosa. Un’emorragia continua che rischia di pesare, e tanto, sulle velleità di rilancio di Veneto Banca e di Banca popolare di Vicenza. La prima si è già trasformata in spa a fine dicembre, la seconda ha in programma l’assemblea per il 5 marzo: un passaggio scontato, anche perché obbligato, ma non per questo indolore.

Molti soci si stanno preparando ad agire in sede legale contro le due banche e i responsabili del dissesto (tra cui Banca d’Italia e Consob per gli omessi controlli), un fronte che – oltre a risarcimenti potenziali per centinaia di milioni di euro – manterrà aperta per anni la ferita del danno reputazionale, sulla quale spargeranno sale le indagini penali in corso che dovranno chiarire le responsabilità. In queste condizioni convincere i soci a sottoscrivere gli aumenti di capitale pare molto difficile, così come ricucire i rapporti con i clienti e i territori traditi dalle scellerate gestioni di Vincenzo Consoli (Veneto Banca) e Gianni Zonin (Popolare Vicenza). Un tentativo molto goffo lo ha fatto Montebelluna offrendo informalmente a Giovanni Schiavon, presidente dell’associazione Azionisti Veneto Banca, la carica di presidente della controllata Veneto Banka Albania. Schiavon ha reso pubblica la mossa della banca, respingendola al mittente (“preferisco continuare a concentrare il mio impegno nella guida dell’associazione – ha scritto al cda -, i cui iscritti hanno il diritto di continuare a credere ancora nella nostra opera di sostegno delle loro ragioni, senza il dubbio di essere stati da me traditi”).

Una ben misera figura, tanto più in un momento molto delicato: sulle controllate estere non c’è stato ancora nessun approfondimento da parte della Bce e le sorprese nei bilanci possono essere tante, come sa bene l’amministratore delegato Cristiano Carrus: già senza sorprese, infatti, i conti delle controllate estere “sono un bagno di sangue”, come lui stesso ha avuto modo di sottolineare all’assemblea degli azionisti a dicembre. Veneto Banca ha appena rinnovato i consigli d’amministrazione che fino a tempo fa erano dominati da uomini della vecchia guardia, come Gianpietro Zannoni, commercialista bellunese, uomo di fiducia di Consoli e da poco diventato cittadino moldavo. L’altra nota dolente per Montebelluna, poi, è rappresentata da Banca Intermobiliare la cui vendita è saltata e i cui conti sono tutto fuorché brillanti.

Per quanto riguarda Vicenza, invece, l’opera di pulizia effettuata con la semestrale non si è rivelata sufficiente: i crediti deteriorati netti verso la clientela sono cresciuti di 1,1 miliardi di euro rispetto a fine 2014 e le rettifiche di valore sui crediti verso la clientela sono quasi raddoppiate rispetto a giugno 2015, passando da 703 milioni di euro a 1,33 miliardi “per effetto dell’evoluzione del credito anomalo, nonché di un approccio maggiormente conservativo nei processi di classificazione e di valutazione”, si legge in una nota dell’istituto. Quanto alle rettifiche di valore sulle attività finanziarie disponibili per la vendita, sono schizzate a 171 milioni di euro e “sono riconducibili in gran parte ai fondi Athena ed Optimum (142,3 milioni)”, fondi che fanno capo ai finanzieri Raffaele Mincione e Alberto Matta in cui la banca vicentina ha investito complessivamente circa 350 milioni tra il 2012 e il 2013. In sintesi, il bilancio 2015 della Vicenza chiude con perdite per 1,4 miliardi di euro e una credibilità seriamente compromessa non solo per il passato, ma anche per il fatto che il padre-padrone della banca, Gianni Zonin, è rimasto in carica fino a fine novembre e nell’attuale consiglio ben 12 su 18 membri appartengono ancora alla vecchia guardia, per non parlare del management e dei quadri direttivi. Non a caso, nel 2015 la raccolta diretta è crollata del 23,3% a 21,9 miliardi e la raccolta totale del gruppo è scesa a 36,5 miliardi, in calo del 19,4%.

Sotto questo profilo è andata meglio a Veneto Banca, che in termini di raccolta ha perso un 8,6% a livello diretto (22,5 miliardi il dato 2015) e un 4,2% in termini di raccolta totale (38,8 miliardi), e le cui perdite si sono attestate a 882 milioni di euro. Vale la pena però ricordare che a Montebelluna l’opera di pulizia è iniziata un po’ prima e che le due popolari venete in questi ultimi due esercizi hanno bruciato miliardi di euro. Anche per questo appaiono un po’ comici gli aggiornamenti dei piani industriali delle due banche (“utile oltre 300 milioni nel 2020” strombazzano a Vicenza), quando è evidente che dovranno accasarsi (e anche in fretta) perché l’ipotesi “stand alone” non è sostenibile come dice la stessa Bce. La Borsa è la strada obbligata per portare un po’ di trasparenza nei due istituti veneti e in linea teorica Veneto Banca e Popolare Vicenza saranno due banche contendibili, quello che ancora non si sa è se lo saranno anche all’atto pratico: i consorzi di garanzia degli aumenti di capitale potrebbero facilmente trasformarsi in qualcosa di diverso, ancora una volta ai danni dei piccoli azionisti che grazie all’ingresso in Borsa sperano di recuperare almeno una parte delle gravissime perdite subite.

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