Da due mesi si discute dell'allarme lanciato dal demografo Gian Carlo Blangiardo: l'anno appena passato ha visto 68mila morti in più rispetto al 2014. Un numero così alto non si registrava dalla Seconda guerra mondiale. I primi studi adesso spiegano il perché
2015: mai visti tanti decessi dalla Seconda guerra mondiale. Colpa della crisi economica? Dei tagli alla sanità? Dell’influenza? Dell’inquinamento atmosferico? Le ipotesi si sono rincorse per settimane. L’invito alla cautela da parte dell’Istat è arrivato un po’ tardi, con un comunicato del 28 dicembre. A due mesi di distanza dall’allarme, si può cercare di capire qualcosa di più, grazie anche ad alcuni studi e riflessioni nelle ultime settimane (due dei quali sono pubblicati da Epidemiologia & Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia).
Ma partiamo dall’origine del mistero, l’analisi del demografo Gian Carlo Blangiardo. Dai dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2015 il professor Blangiardo desume un surplus di 39.000 morti in confronto al medesimo periodo del 2014, “un aumento dell’11% che, se confermato su base annua, porterebbe a 664.000 i morti nel 2015, contro i 598.000 dello scorso anno”. Un’impennata di 66.000 decessi (la stima verrà poi rivista a 68.000 con i dati più recenti) che Blangiardo assimila a quelli registrati solo durante le due guerre mondiali.
Nella ricerca delle possibili cause (resa ardua dalla tipologia dei dati Istat, che nella prima fase di elaborazione sono aggregati, ossia mancano dettagli relativi a genere ed età dei deceduti) Blangiardo esclude un ruolo preminente dell’invecchiamento della popolazione, che darebbe conto solo di una piccola quota, circa 16.000 morti. E gli altri 52.000? Secondo il docente di demografia della Bicocca di Milano queste morti in più sarebbero “un evento straordinario che richiama alla memoria l’aumento della mortalità nei Paesi dell’Est Europa nel passaggio dal comunismo all’economia di mercato”. E ammonisce: “Il controllo della spesa sanitaria sempre e a qualunque costo può avere effetti molto pesanti”.
Due avvertenze. Primo: i 68.000 morti sono stimati basandosi sull’assunto che il tasso di aumento registrato nei primi otto mesi resti costante fino a fine anno (se ne avrà certezza solo quando Istat fornirà il bilancio demografico per tutto il 2015). Secondo: sia per la determinazione dell’eccesso di morti, sia per il peso dell’invecchiamento della popolazione, i confronti sono fatti rispetto al solo anno 2014.
In attesa che il gruppo di lavoro incaricato dal ministero della Salute produca le proprie analisi, qualche risposta in più alla “epidemia di morti” del 2015 c’è. Il primo approfondimento viene da uno studio di ricercatori del dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale Lazio e del ministero della Salute che ha analizzato la mortalità nelle 32 città del Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera, pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione.
In questo lavoro si è scavato un po’ più a fondo rispetto ai dati grezzi dell’Istat, arrivando ad analizzare l’andamento dei decessi, riferiti alla popolazione degli ultra 65enni, su base stagionale. I risultati, ottenuti da un confronto con un periodo di riferimento rappresentato dalle medie degli anni 2009-2013 (il 2014 è stato escluso in quanto anomalo), confermano l’elevata mortalità del 2015 (+11% rispetto al riferimento) mettendo in luce un picco nei primi tre mesi dell’anno (+13%) correlabile al picco dell’epidemia influenzale, e uno nel periodo estivo (+10%) associabile alla forte ondata di calore dell’estate 2015.
I dati del Sistema informativo della mortalità del Comune di Roma hanno permesso di approfondire l’analisi, abbinando ai dati di mortalità stagionali quelli su sesso, classi di età e cause di morte. Si è così accertato che l’eccesso di mortalità invernale a Roma ha riguardato soprattutto i grandi anziani (ultra85enni), deceduti in gran parte per cause respiratorie e cardiovascolari, compatibili con le complicanze dell’influenza. “Un aumento dei decessi nei mesi invernali era stato già segnalato a livello europeo e attribuito alla particolare virulenza dell’epidemia influenzale della stagione 2014-2015 e, in parte, alla minore efficacia del vaccino” sottolinea Paola Michelozzi, prima firmataria del lavoro. “In Italia la situazione potrebbe essersi ulteriormente complicata in seguito all’allarme suscitato dal ‘caso Fluad’, che ha comportato un minor accesso alle vaccinazioni da parte dei soggetti più suscettibili, gli anziani. La mortalità estiva è molto probabilmente associata alle ondate di calore di luglio, particolarmente intense e di lunga durata”.
Il 2014 è stato un anno anomalo, caratterizzato da una mortalità inferiore all’atteso (-5,9%): “Soprattutto nell’estate 2014 la mortalità è stata molto bassa: ciò potrebbe avere determinato all’inizio del 2015 la presenza di un bacino più ampio di soggetti suscettibili (per una ridotta capacità di difesa dell’organismo dovuta all’età avanzata e alla presenza di malattie croniche) e, quindi, un maggiore impatto dell’epidemia influenzale 2014-2015. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, l’aumento dei decessi dell’inverno 2015”, spiega Paola Michelozzi.
Cesare Cislaghi, Giuseppe Costa e Alberto Rosano – un economista sanitario, un epidemiologo e un demografo – focalizzano l’attenzione su un altro fattore determinante: la composizione della popolazione. L’eccesso di mortalità del 2015 sarebbe dovuto in gran parte all’aumento di popolazione anziana per effetto, non solo di una maggiore longevità, ma anche di qualcosa di molto remoto: gli effetti della Prima guerra mondiale. Tra il 1917 e i 1920 si è verificato un forte calo di natalità che si traduce nella “mancanza” di oltre 250.000 nati in quegli anni. “Il transito di questi soggetti nel periodo da noi considerato ha portato i sopravvissuti che nel 2009 avevano tra gli 89 e i 92 anni ad avere nel 2015 tra i 95 e i 98 anni di età. Gli ultranovantenni del 2015, per lo più facenti parti delle coorti successive al 1920, sono il 40% in più degli ultranovantenni del 2009”. Quindi “se c’è un 40% in più di soggetti a rischio di manifestare un evento, cioè il decesso, ci si deve anche aspettare che ci sia un 40% in più di eventi, cioè di decessi”.
Se insieme alle variazioni dei decessi si considera anche la variazione del numero dei soggetti a maggior rischio di morire, il fenomeno viene molto ridimensionato. Cosa confermata da analisi effettuate partendo da dati di mortalità regionale e decessi ospedalieri, che suggeriscono come la mortalità dell’inverno 2014/2015 sia in linea con la media degli anni precedenti ma superiore al 2014 (anno anomalo). L’eccesso estivo, per il quale la correzione demografica è meno rilevante, sarebbe invece confermato e attribuibile alle ondate di calore.
Una versione più estesa di questo articolo è disponibile sul sito www.scienzainrete.it
Di Cinzia Tromba
Da Il Fatto Quotidiano del 09/02/2016