Un video brutto. Come non ti aspetti da qualcuno che ci tiene molto alla qualità della propria comunicazione. Il video #ventiquattro, sul racconto dei primi due anni di governo Renzi, ti lascia perplesso al termine dei suoi tre minuti. La domanda che si fa un tecnico della comunicazione politica, ma credo anche tutti gli altri, è: “perché?”.

Non “perché fare un video autocelebrativo?”. Quello è giusto farlo, tutti i leader e i partiti lo fanno. Poi c’è chi come Berlusconi ne è ossessionato e lo mostrava anche alle olgettine in visita ad Arcore. Ma senza egocentrismo, un video sull’operato del governo è un tassello importante della comunicazione di un politico.

La domanda invece è “perché il video di Renzi è così brutto?”. Ecco la mia spiegazione.

Il video parte bene, con un Tweet del premier. E’ giusto, è stato il simbolo del suo ingresso al governo ed è un simbolo positivo nella narrazione renziana, perché giovanile, generazionale.

Guardando il resto del video capisci che la mossa è stata azzeccata per caso, che non era voluta, che non c’è una logica dietro a quel video. Ciò che ne viene fuori al termine dei tre minuti è un mix di strette di mano, successi di altri (soprattutto di sportivi), disgrazie sempre altrui (gli attentati) e spezzoni di interventi senza contesto, tra l’altro ripresi in bassa qualità.

Se proprio un tema lo vogliamo trovare, è quello internazionale, perché la maggior parte dei tagli è sulle visite istituzionali del premier. Ma sono le visite che tutti i primi ministri fanno. Le stesse foto le ha il presidente cipriota e quello di qualunque Paese. Non è un merito del governo, fa parte del lavoro di presidenti e ministri.

Se alla fine di un video su due anni di governo ti chiedi “ok, e quindi cosa ha fatto?” significa o che il video è fatto male, o che Renzi non ha fatto niente. Dato che di cose – nel bene o nel male – Renzi ne ha fatte, basta citare le riforme, allora il problema sta nelle immagini.

Se il problema sono le immagini, abbiamo altre due strade per capire perché questo video sia così brutto. O Renzi non ha legato nessuna immagine emblematica al suo percorso, oppure chi ha fatto il video non le conosce, non conosce bene il premier o – semplicemente – non ha dedicato tempo alla cosa (c’erano ancora circa 10 giorni prima dei due anni del governo. Volendo, il tempo per fare una cosa migliore si sarebbe trovato). Per immagini emblematiche si intendono scatti e frasi alle quali abbiamo associato pezzi di storia ed emozioni.

Facciamo alcuni esempi sui due elementi più presenti nel video: i successi sportivi e gli incontri internazionali. Pertini che esulta alla finale dei mondiali è un’immagine carica di emozioni per tutti noi.

Una foto efficace. Mentre nelle immagini sui successi sportivi nel video di Renzi, lui arriva sempre alla fine, alle foto di rito, non è associato al punto vincente, alla battaglia comune. Perfino la Merkel ha immagini più intense nello sport.

Riguardo agli incontri internazionali, per fare esempi più recenti, prendiamo Berlusconi. Tutti ricordiamo la foto della stretta di mano che fece dare a Bush e Putin.

Nel video dei ricordi sul sito del governo abbiamo scatti senza storia per Renzi. Foto simpatiche, come i selfie e quella sulla panchina con Obama e la Merkel, ma senza meriti personali. Quei giorni lì c’erano tutti e facevano le sue stesse cose.

L’unico momento in cui era al centro della Storia nel video è l’inaugurazione di Expo. Anche attraverso tweet e selfie si può raccontare una storia coinvolgente, e Renzi lo sta facendo da due anni sui media. Ha pronunciato decine di discorsi ben scritti, dai quali si poteva prendere molto.

Pensiamo al discorso di Berlusconi al Congresso Usa. Seppur in un inglese improbabile è passato come un pezzo di Storia in Italia, grazie al racconto di contorno che ne faceva l’ex premier: la standing ovation, l’eccezionalità dell’evento.

Il frame, ovvero il contesto dentro al quale si cala un’immagine, può essere creato da elementi verbali (come frasi prese dai discorsi) e paraverali (musicali nel caso di #ventiquattro), dando tutto un altro effetto al filmato. Le immagini nel video non sono foto che parlano da sole. Serve qualche elemento che le inserisca in un racconto.

Se a Renzi manca un po’ di Storia – se non c’era lui dentro la Situation room mentre catturavano Bin Laden, se non è lui il mediatore dello scongelamento fra Usa e Cuba – di sicuro non gli mancano le doti comunicative. Bastava uno stralcio di uno dei suoi migliori discorsi a far da voce narrante nel video, associato a dei movimenti musicali ben assestati, ed ecco che le foto avrebbero assunto un significato unico. Seppur non importanti nella storia del mondo, lo sarebbero apparse nella nostra storia, in quella italiana. Questo sarebbe bastato a fare un video decente. Un video diverso da #ventiquattro.

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