L'indagine dell'autorità evidenzia anche che servono una riforma del sistema consortile per la raccolta degli imballaggi, un modello di regolazione centralizzato e una ridefinizione dei bacini per la raccolta. "L'Ama è un clamoroso esempio di gigantismo con un milione di tonnellate di rifiuti raccolti all’anno", ha esemplificato un tecnico dell'authority
Per raggiungere l’obiettivo europeo del riciclo del 50% dei rifiuti prodotti, favorire la termovalorizzazione e rendere più efficiente e meno costoso lo smaltimento servono più concorrenza e una riforma il sistema consortile per la raccolta degli imballaggi imperniato sul “monopolio sostanziale” del Conai. La diagnosi è dell’Antitrust, che ha presentato l’indagine conoscitiva sul mercato della gestione del rifiuti urbani avviata nell’agosto 2014 dopo diverse segnalazioni sulle criticità del settore. “Ci sono numerosi blocchi alla concorrenza, e dove non c’è concorrenza si aprono spazi per il malaffare e comportamenti lesivi dell’ambiente, senza contare che con più gare si ridurrebbero i costi. Si può arrivare a una riforma organica del settore che riteniamo ormai indispensabile”, ha commentato il presidente dell’autorità Giovanni Pitruzzella.
La direttiva europea in materia prevede una quota di riciclo pari al 50% entro il 2020, mentre nel nostro Paese la percentuale è solo del 39% (dati Eurostat 2013) contro il 65% della Germania, il 58% dell’Austria e il 55% del Belgio. La quota di differenziata e di riciclo, in base alle indicazioni contenute nell’indagine, potrebbe essere incrementata attraverso la raccolta porta a porta, che risulta al momento la più costosa ma complessivamente realizza una gestione dei rifiuti più economica (perché produce valore) e più ecologica (perché promuove l’uso di prodotti riciclati).
Per raggiungere l’obiettivo, secondo l’authority, è necessario innanzitutto ridurre l’eterogeneità che si riscontra sia nelle varie fasi della filiera sia nelle diverse realtà locali. Finora l’organizzazione della raccolta è stata incentrata sui Comuni, con la presenza di un gran numero di operatori di piccole dimensioni e basata sul frequente ricorso all’affidamento del servizio in via diretta e senza gara e con una durata degli affidamenti troppo lunga, fino a 20 anni e oltre.
Da qui le proposte dell’Autorità: innanzitutto rivedere le modalità di affidamento della raccolta privilegiando la gara, limitando la durata a un massimo di cinque anni e vincolando gli affidamenti in-house a un preventivo confronto di efficienza. Poi ridefinire i bacini per la raccolta, in modo da differenziarli e ampliarli per le fasi a valle (trattamento meccanico-biologico e termovalorizzazione), con una gestione che disincentivi il conferimento in discarica, utilizzando meglio lo strumento dell’ecotassa per rendere economicamente più conveniente il ricorso agli impianti di trattamento biologico e ai termovalorizzatori. “L’Ama è un clamoroso esempio di gigantismo con un milione di tonnellate di rifiuti raccolti all’anno”, ha esemplificato un tecnico dell’Antitrust illustrando l’indagine, che individua la misura ottimale dei bacini di raccolta dei rifiuti tra le 80 e le 90mila tonnellate o tra i 30 e i 100mila abitanti.
Un’altra indicazione per aumentare l’efficienza consiste nell’applicare un modello di regolazione centralizzato, affidando le competenze, per esempio, all’Autorità per l’energia, il gas e il sistema idrico. A tutto questo, secondo le indicazioni dell’Antitrust, si deve aggiungere poi una riforma del sistema consortile Conai, per garantire che i produttori di imballaggi rispettino il principio ‘chi inquina paga’. “Quella della gestione dei rifiuti urbani – ha detto Pitruzzella – è una grande questione economica, ambientale e anche giudiziaria: basti pensare all’intensa attività delle eco-mafie in questo campo e quindi alla necessità di intensificare il controllo di legalità soprattutto nelle regioni meridionali”.