“Voglio che li soffochi a forza di dirgli di sì, che li mitragli di sorrisi, che li porti a morte e distruzione a forza di consensi, che ti lasci ingoiare da loro fino a farli vomitare e scoppiare”. Inizia così uno dei romanzi più belli del Novecento, firmato da Ralph Ellison, Invisible Man, e al quale l’autore non riuscì a dare un seguito. C’è molto in queste parole, c’è l’enciclopedia del blues e del rock, c’è una grande parte di Bruce Springsteen, soprattutto lo Springsteen che in pochi hanno compreso, ma anche Martin Luther King che comunque sogna prima di essere ucciso. A guardare bene c’è l’elezione di Obama, e anche buona parte del suo mandato.
La contestualizzazione del romanzo di Ralph Ellison è diversa, e quello che resta un punto di partenza e di arrivo di una certa letteratura, merita solo di essere riletto. Ma quel dialogo che all’inizio illumina le pagine può essere l’adattamento di tutto. E allora sì, diciamogli di sì. Alziamoci in piedi e diciamo che è vero, che le madri surrogate sono un’aberrazione che il nostro Dio non vorrebbe. Ma che lo facciano i laici, gli altri l’hanno già fatto. Che gli omosessuali gridino di non volersi sposare, che la famiglia intesa dal Signore non può essere amore, ma solo sesso tra un uomo e una donna, perché è l’anatomia che ha scritto in bella copia le regole del Padreterno. Qualcuno scenda in piazza con un family day numero due, spieghi a Matteo Renzi, a Roberto Formigoni e anche a Grillo e Casaleggio, che non sopportiamo le checche, che ci deve essere un mondo disegnato molto prima dell’anno Zero da rispettare. Soffochiamoli, appunto. Diamo modo che vomitino tutto il nostro sì. Facciamo capire che noi abbiamo capito che non ci sarà un seguito a quella che chiamano legge Cirinnà. Non è più una battaglia per dei diritti che dovrebbero essere sacrosanti, ma solo una questione politica. Fatta di giochetti e regole che si combattono all’interno di un Palazzo sempre più isolato dal resto del Paese. Perché il passaggio al Senato è una medaglia che qualcuno si vuole appendere sul petto senza che poi la legge sia tale, e cioè arrivi anche alla Camera, perché quel giorno, questa legislatura, non ci sarà più. Almeno la smetteranno di dire in Tv “che io da madre”.
Facciamolo, senza smettere di cantare, che questo Paese è il nostro Paese. Degli omosessuali, della famiglia tradizionali, delle madri che credono alla fecondazione, del matrimonio che non sia solo un sacramento. Che questo è il Paese anche degli stranieri, quelli arrivati in barca, ma che qui hanno trovato quello che non riuscivano a trovare casa loro. E’ il nostro Paese, appunto. Forse solo così verranno un giorno riconosciuti i Diritti senza che ci venga calpestata la Dignità.