Dopo il via libera del Tribunale fallimentare di Arezzo allo stato d'insolvenza dell'istituto, si aggrava la posizione degli ex vertici della Popolare aretina. Tornano d'attualità i rapporti tra la cooperativa rossa Castelnuovese e l'istituto di credito
Si fa sempre più difficile la posizione degli ex vertici di Banca Etruria dopo il via libera del Tribunale fallimentare di Arezzo allo stato d’insolvenza dell’istituto. Atteso preludio all’apertura di un nuovo fascicolo, per bancarotta fraudolenta, che il procuratore Roberto Rossi, previa segnalazione del curatore fallimentare, potrà ora decidere di aprire a carico degli amministratori che hanno guidato la banca fino al commissariamento del febbraio 2015. Inclusi, tra gli altri, l’ultimo vicepresidente Pierluigi Boschi, padre del ministro Maria Elena, il presidente Lorenzo Rosi e l’attivissimo consigliere Luciano Nataloni.
Questi ultimi sono già sotto inchiesta per omessa dichiarazione di conflitto d’interessi in una lunga serie di operazioni che ha coinvolto la banca. Al democristiano Rosi, in particolare, la Banca d’Italia aveva già fatto notare i rapporti pericolosi tra l’Etruria e la cooperativa rossa Castelnuovese, da lui guidata per vent’anni fino all’estate 2014, mentre l’attivissimo Nataloni, per altro intestatario di due pratiche di finanziamento da parte della banca, ne ha presieduto il collegio sindacale per 13 anni, fino all’agosto 2011. La società perquisita insieme ad altre 13 l’8 gennaio scorso, è specializzata in grandi opere, rifiuti e costruzioni, specialmente di centri commerciali e outlet. Attività nelle quali è stata spesso affiancata da Banca Etruria, sia durante la gestione di Rosi, sia sotto il suo predecessore, Giuseppe Fornasari, sul quale oggi pende una richiesta di rinvio a giudizio per ostacolo alla vigilanza oltre a un’indagine per false fatturazioni e che, insieme a Nataloni e a Ubaldo De Vincentiis, ha portato l’istituto aretino a investire nel settore dei mall della moda anche in Cina.
In tempi più recenti, poi, la Castelnuovese, è entrata in affari con Andrea Bacci, l’imprenditore di Rignano sull’Arno che Matteo Renzi ha spesso scelto per guidare le partecipate della Provincia e del Comune di Firenze. Oltre ad essere stato, nel 1993, socio di Renzi senior nella Raska e, nel 2011, uno dei tre amici che hanno prestato dei soldi al padre del premier. E che oggi è candidato alla guida di Telecom Sparkle. L’affare che ha unito Castelnuovese, Bacci e Rosi in veste di amministratore unico, è ancora una volta quello degli outlet della moda e, in particolare, riguarda il progetto di espansione in Puglia (a Fasano, in provincia di Brindisi) del The Mall di Leccio Reggello (Fi). Qui è coinvolta anche la Nikila di Ilaria Niccolai, a sua volta volta socia (nella Party srl) del padre del premier, Tiziano Renzi, che in veste di consulente ha presenziato agli incontri con il sindaco di Fasano per la discussione del progetto.
Quanto al padre del ministro Boschi, al momento non indagato, i suoi guai non sono iniziati con la vicepresidenza di Banca Etruria, che gli è comunque già costata una multa da 144mila euro inflittagli per “violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”. Tra il 2000 e il 20015, poi, Pierluigi Boschi è stato indagato 10 volte per reati fiscali. Tutti i fascicoli, tranne l’ultimo ancora in corso, sono però stati chiusi con l’archiviazione. Arrivata in alcuni casi solo dopo il pagamento delle relative sanzioni dell’Agenzia delle Entrate.
Aggiornamento del 24 febbraio 2019