A Magenta (Milano) la chiusura della storica industria chimica ha portato a un processo per bancarotta fraudolenta con 22 imputati, al via l'11 febbraio. Tra loro Roberto Tronchetti Provera. Per l'accusa, un'azienda sana con oltre mezzo secolo di storia è stata spolpata deliberatamente per far spazio al mattone. La giunta Pd concede l'edificazione su 45mila mq di Snia e Unicredit a volumetrie triplicate: "Favoriamo la città". Nella vicenda coinvolto (ma non indagato) il candidato sindaco di Napoli Lettieri
Gli operai hanno perso il lavoro, i dirigenti sono stati rinviati a giudizio per bancarotta fraudolenta e la giunta Pd di Magenta (che neppure si è costituita parte civile al processo) pensa al futuro, valorizzando un’area ‘maledetta’, simbolo della crisi economica e insieme, secondo la Procura di Milano, della spregiudicatezza di finanzieri senza scrupoli, che avrebbero distratto 70 milioni e provocato il fallimento di un’azienda famosa nel mondo.
Il nuovo strumento urbanistico del comune 30 chilometri a ovest di Milano non lascia spazio alle interpretazioni: sui terreni della ex Novaceta, gloriosa fabbrica chimico-tessile con 400 lavoratori, fallita nel 2010 dopo 59 anni, 140mila metri quadrati sono industriali e 45mila diventano edificabili con volumetrie triplicate. Il valore di mercato fornisce un’idea del business: 14 milioni di euro la sezione industriale (circa 100 euro ogni metro quadrato) e 6 milioni la parte su cui si potrà costruire (150 euro ogni metro quadrato). Totale da capogiro: 20 milioni senza aver ancora posato un mattone. I proprietari delle aree sono la Snia e, dal 2005, la banca Unicredit.
Novaceta ha una storia lineare per 53 anni, che si complica all’improvviso nel 2003, quando la gestione passa a BembergCell (gruppo riconducibile all’immobiliarista Maurizio Cimatti) con l’obiettivo di creare un polo italiano d’eccellenza, differenziando la produzione su 3 siti: Rieti nel Lazio, Gozzano in Piemonte e Magenta in Lombardia. Il progetto non decolla e anzi nel 2005 BembergCell fallisce. Due anni dopo si affaccia sulla scena lombarda la Mcm Holding di Gianni Lettieri (candidato sindaco nel centrodestra a Napoli per le prossime amministrative, dopo aver sfidato Luigi Di Magistris nel 2011), che si offre di rilanciare la fabbrica, presenta un ambizioso piano industriale e ne acquisisce la gestione. Potrebbe funzionare, perché Novaceta conserva un fatturato di 27 milioni. Solo che la cura Lettieri ottiene l’effetto opposto: nel 2009 la produzione si ferma e viene avviata la procedura fallimentare.
A Magenta il sindacato Cub parlano apertamente “di cordata speculativa degli imprenditori del mattone, in accordo con Unicredit, con il progetto di dismissione pianificata dell’impianto per far posto a cantieri edili”. La politica taccia le parti sociali di allarmismo e snobba il ‘Movimento popolare dignità e lavoro’, che nel frattempo si è costituito in presidio permanente e occupa l’azienda. La giunta Pdl-Lega Nord, all’epoca guidata dal neoassessore regionale Luca Del Gobbo (Ncd), promette che l’area resterà industriale. In effetti è così. Ci penserà infatti la giunta Pd del sindaco Marco Invernizzi, in carica dal 2012, a cambiare la destinazione di parte dei terreni, triplicando gli indici volumetrici.
Se la giunta magentina rivendica la trasformazione delle aree (“La città guadagna un parco da 14mila metri quadrati e un parcheggio vicino alla stazione”), gli ex operai ricordano al Pd lo slogan della campagna elettorale: “Consumo di suolo zero”. Aggiungendo una postilla: “Quando Unicredit rilevò le aree Novaceta nel 2005, si producevano 14mila tonnellate di filato ogni anno, esportato in tutto il mondo e con un fatturato di 80 milioni. Le scelte successive hanno invece mandato sul lastrico 400 famiglie”.
“Non favoriamo nessuno, se non la città”, è la secca replica dell’assessore Pd all’Urbanistica, Enzo Salvaggio. Il quale però non spiega perché il “consumo di suolo zero” sia stato rigorosamente applicato al ‘Business Park’ (bocciando l’idea di una storica azienda locale, che si è vista cancellare da un giorno all’altro le volumetrie) e sia invece stato dimenticato nel caso Novaceta. Due pesi e due misure che hanno scatenato la bufera politica. Anche perché nel dicembre 2013 la Procura di Milano spedisce 22 avvisi di garanzia per bancarotta fraudolenta ai manager e ai membri del collegio sindacale, che avrebbero dovuto controllare i bilanci Novaceta. Fra gli indagati Roberto Tronchetti Provera, fratello del manager Marco, l’ex numero due forzista di Regione Piemonte Gilberto Pichetto Fratin (anche se con ruoli marginali), l’immobiliarista Cimatti e Nicola Squillace, entrambi indagati anche per il crac di Norman95.
Le conclusioni cui giunge la Guardia di finanza di Magenta vengono fatte proprie dal pubblico ministero Bruna Albertini: gli indagati “concorrevano a cagionare la crisi della società attraverso operazioni di depauperamento del patrimonio sociale e realizzavano condotte distruttive”. Cervellotico il meccanismo per far ‘sparire’, secondo l’accusa, 70 milioni. Bembergcell (gruppo Cimatti) vende gli immobili Novaceta per 56 milioni a Eurinvest, società che a sua volta li riaffitta alla Bembergcell, che ottiene così una grossa liquidità da investire per rilanciare l’azienda. Cosa che però non accade, perché quei soldi (cui si aggiungono altre operazioni per 14 milioni) si perdono in mille rivoli di una decina di società, che alla fine si fondono una dentro l’altra.
Per l’accusa è un fallimento provocato ad arte e nel luglio 2015 il giudice per le indagini preliminari rinvia tutti a giudizio. In quella sede i 400 lavoratori Novaceta ottengono di costituirsi parte civile, nonostante l’opposizione dell’azienda (presente in aula con gli ex amministratori e gestori di fatto Cimatti e Squillace). Il processo inizia giovedì 11 febbraio, con un grande assente: il Comune di Magenta, che ha assistito da spettatore alla bancarotta della storica fabbrica e che, mentre gli operai disoccupati si preparano a combattere la battaglia più importante, cambia la destinazione dei terreni, ne accresce il valore e apre alle gru le porte dell’ex sito industriale, uno degli ultimi rimasti.