“Mi vedo costretto a parlare di questioni delle quali in un Paese civile dovrebbe essere inutile anche soltanto accennare”, scriveva e diceva Antonio Cederna, consigliere nazionale di Italia Nostra, ma anche consigliere comunale a Roma e deputato, mentre si batteva perché Roma e l’agro intorno alla città non perdessero la loro identità, mentre denunciava gli sventramenti del centro storico di Roma, come anche di Lucca. Così le distruzioni di varie chiese a Milano. Più in generale le manomissioni diffuse del paesaggio.

Per lui, coraggioso oppositore di un’idea sbagliata e perdente di territorio, enunciata da molti attraverso reiterati attacchi a luoghi e spazi del Paese, non è mai esistita una contrapposizione tra un presente da respingere ed un passato da conservare. Per lui, strenuo paladino dell’equilibrio tra habitat naturale e architetture umane, la via da seguire era proprio quella. Non alterare equilibri storicizzati. Non infrangere legami che il tempo aveva consolidato. Fino a fonderli indissolubilmente. Quasi, indissolubilmente. Non si trattava di salvare un monumento. E neppure un più articolato complesso.

Per Cederna la questione era più grande. Più complessa. In gioco non c’era “soltanto” la salvaguardia di una struttura, ma ben altro. Senza la tutela anche dell’intorno, si sarebbe trattato di una vittoria a metà. Di una sconfitta parziale. Il risultato? Un nuovo recinto nel quale ammirare l’ennesimo monumento, ridotto a fossile. Privato della sua restante vitalità. Per questo e per molto altro Cederna ha illuminato la seconda metà del Novecento. Proprio per questa sua visione del Paesaggio. Modernamente volta non solo a conservare, ma a costruire con il riutilizzo di parti esistenti. Insomma non sembri fuori luogo parlare di Antonio Cederna come di uno dei migliori architetti del paesaggio italiano. Uno dei luoghi sui quali sperimentò queste sue doti fino a quasi ad identificarsi con essa è stata senz’altro la via Appia.

“Per tutta la sua lunghezza, per un chilometro e più da una parte e dall’altra la via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto, per la sua storia e per le sue leggende, per le sue rovine e per i suoi alberi, per la campagna e per il paesaggio, per la solitudine, il silenzio, per la sua luce, le sue albe e i suoi tramonti … la via Appia era intoccabile come l’Acropoli di Atene”. Scriveva così l’ “appiomane”, come si definiva, Antonio Cederna nel settembre del 1953 sulle colonne de Il Mondo ne “I gangster dell’Appia”. Quindi per Cederna l’Appia antica avrebbe dovuta essere intoccabile, come l’acropoli di Atene. Nella realtà non lo era. Ha continuato a non esserlo. Nuove grandiose ville affacciate sul tracciato antico hanno cannibalizzato strutture antiche e medievali di ogni tipo. Hanno stravolto l’aspetto tradizionale per adeguarlo alle nuove esigenze. Ma senza Cederna e senza chi in questi ultimi venti anni ha combattuto contro il dilagare dell’abusivismo e dell’arroganza, probabilmente rimarrebbe molto meno. Di certo sarebbe diventato più sfumato il ruolo dello Stato come garante della legalità. Per ricordare Cederna, per ribadire quanto il Paesaggio sia elemento imprescindibile della nostra storia, l’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli ha organizzato per sabato 13 febbraio, a partire dalle ore 10.00, “Sulle orme di Antonio Cederna lungo la via Appia”, una camminata guidata da Rita Paris.

“La lotta per la salvaguardia dei valori storico-naturali del nostro Paese è la lotta stessa per l’affermazione della nostra dignità di cittadini, la lotta per il progresso e la coscienza civica contro la provocazione permanente di pochi privilegiati onnipotenti”, scriveva nel Cederna 1961. Forse il problema è anche questo. Che “i pochi privilegiati onnipotenti” hanno rinsaldato le fila, si sono moltiplicati. Che i nemici di ieri, oggi hanno deciso di mettere mano anche all’architettura istituzionale che avrebbe dovuto garantire la tutela del Paesaggio. Le diverse Riforme dell’organizzazione del Mibact, l’estrema valorizzazione-commercializzazione del Patrimonio e la sostituzione ufficiale dei professionisti dei Beni culturali con i volontari non sono elementi accessori. Senza alcun legame con la camminata sull’Appia e con altri incontri che si stanno organizzando in giro per l’Italia. La preoccupazione è che monumenti, siti archeologici, palazzi storici e musei debbano diventare soltanto un business. Nient’altro che un bancomat.

Uno dei libri più celebri di Cederna, pubblicato nel 1956, s’intitolava, “I vandali in casa”. Per Cederna i “vandali” all’opera nell’Italia della ricostruzione postbellica erano: “Proprietari e mercanti di terreni, speculatori di aree fabbricabili, imprese edilizie, società immobiliari industriali commerciali, privati affaristi chierici e laici, architetti e ingegneri senza dignità professionale, urbanisti sventratori, autorità statali e comunali impotenti o vendute” e altri ancora.

A distanza di quasi sessant’anni i vandali descritti da Cederna esistono ancora. Sappiamo che stanno tentando di far danni non su un singolo monumento. Su un’area archeologica. Su un parco o una pineta litoranea. Molto peggio. Hanno deciso di eliminare nella sostanza i controlli esautorando gli enti preposti a questo. Hanno deciso di smantellare quel che oppone resistenza. Hanno deciso di spezzare il legame che univa i Musei ai territori. Sperare che il loro tentativo fallisca è lecito. Ma non basta. Bisogna fare qualcosa di più.

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