Le Amministrative a Milano e a Roma, ma non solo, stanno diventando una perfetta cartina al tornasole sullo stato di salute e il tasso sostanziale di democrazia delle forze politiche in campo.

Secondo un andamento consolidato tutta l’attenzione politico-mediatica si è concentrata negli ultimi giorni sulle cosiddette multe per i “dissidenti” del M5S previste dalla multiforme “Spectre” di Casaleggio nella sua ultima declinazione in “staff”, di cui i più zelanti su Repubblica hanno voluto indicare il primitivo significato di “bastone”, allo scopo evidentemente esecrabile per i paladini della democrazia partitocratica di scoraggiare candidati analoghi al consigliere indagato per collusione con la camorra a Quarto.

A sostenere la natura difensiva e non “stalinista” in primo luogo per gli elettori e i cittadini, del ricorso alla sanzione economica, previsto per i candidati a Roma, come già per quelli europei che vìolino i principi fondativi del movimento è stato in totale solitudine Dario Fo che l’ha definito con disarmante semplicità “un atto di difesa contro i tradimenti di disonesti ed infedeli”.   L’obiezione ricorrente alla necessità di doversi cautelare anche con queste misure per garantire la trasparenza, la coerenza e le priorità che il Movimento si è dato è quella rivolta ad 8 e mezzo a Paola Taverna dall’editorialista del Corriere Massimo Franco e cioè che il decalogo a cui attenersi e le sanzioni siano una prova di notevole debolezza.

Ma se il problema vero e ineludibile è la selezione al meglio della classe politica e se si ritiene inopportuno o autoritario l’uso delle sanzioni economiche contro i campioni del trasformismo imperante, che ha raggiunto una “qualità” e dei numeri (248 tra i parlamentari con 10 cambi di gruppo parlamentare al mese) sconosciuti anche all’Italia di De Pretis, occorre a maggior ragione chiedersi se la soluzione è l’anatema spavaldo di Renzi contro “gli schifiltosi” e la demonizzazione di chi tenta di correre ai ripari.

E forse il premier, che negandolo con troppa enfasi sta appeso ai sondaggi persino più di Berlusconi, farebbe bene a tener presente che secondo quello commentato a Piazza Pulita il 72% degli interpellati è favorevole ad un codice etico per i partiti da far rispettare con sanzioni economiche.

Non essere schifiltosi sui voti, comunque provengano come è avvenuto con quelli della comunità cinese mobilitata in massa a Milano per Sala, anche se non determinanti, ed essere “accoglienti” nei confronti degli uomini di Cuffaro trasmigrati sotto tutte le bandiere fino al Pd “aperto” di Renzi e Faraone non mi sembra che rappresentino due esempi di buona democrazia da opporre alla “rigidità” e al “dirigismo accentratore” che dominerebbero nel M5S.

Intanto a Roma dove il M5S ha proposto agli elettori un programma partecipato per individuare con il voto on line degli iscritti tre priorità assolute per la città e sta raccogliendo i curricula da cui individuare i 49 candidati da cui emergeranno i 10 aspiranti alla carica di sindaco si sta assistendo al balletto delle candidature improbabili, assurde e/o imbarazzanti  del non meglio precisato cartello targato Berlusconi-Salvini-Meloni che pateticamente tornano ad azzannarsi sulle primarie “belle e impossibili”.

E mentre si rincorrono, si bruciano e ritornano i nomi di Guido Bertolaso, Rita Dalla Chiesa ed Irene Pivetti, per citare quelli delle ultime 24 ore,  sullo sfondo rimane sempre il bel “perdente” Alfio Marchini, a lungo conteso da Berlusconi e Renzi e tuttora incerto sul da farsi. Una fulgida immagine di coerenza ed efficienza politica, oltre che di partecipazione “dal basso” da opporre alla “debolezza” del M5S e al deficit di democrazia imputato alle consultazioni on line.

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