“Maccartismo e Donald Trump? Sono entrambi terrificanti!”. Scherzano ma fino a un certo punto Ethan & Joel Coen, chiamati a confrontare due opzioni che nel proprio idioma definiscono “scary”, come un film dell’orrore. Il loro Ave, Cesare!, traduzione del letterale Hail, Caesar! presentato in apertura della 66ma Berlinale, non è il “miglior Coen” ma di certo ha dalla sua la potente dose di ironia che rende intelligente qualunque levità si metta nelle loro mani. L’accostamento tra le attività persecutorie di McCarthy in piena Cold War e quelle di possibili censure del candidato repubblicano alla Casa Bianca sembrano forzate, eppure c’è qualcosa che gira nell’aria hollywoodiana contemporanea da far pensare che la paura di essere ancora censurati/perseguitati sia ancora viva.
Uscito proprio oggi nelle sale è L’ultima parola. La vera storia di Dalton Trumbo di Jay Roach che rievoca le incredibili vicende dello sceneggiatore Trumbo passato dalle stelle del successo alle stalle della prigione, giacché Hollywood prima lo esaltò e poi lo condannò in quanto comunista. Egli fu in grado di vincere ben due Oscar sotto falso nome, condizione in cui si era ridotto a lavorare: il maccartismo, feroce e implacabile, era arrivato a questo e gli americani, inclusa la luccicante Hollywood, l’aveva permesso ed anzi invocato.
Oggi arrivano i Coen con la loro sagacia a metterci in guardia: un gruppo di sceneggiatori comunisti, capitanati da niente di meno che il dottor Marcuse, rapiscono una superficiale superstar vestita da centurione direttamente dal set di un peplum. Questi, bellimbusto con poco sale in zucca, non capisce nulla, ma si limita ad assistere alle astruse conversazioni degli intellettuali sinistrorsi che lo tengono prigioniero in una spettacolare villa sul mare a Santa Monica. Si fanno persino chiamare “Il futuro”. Per lui esigono dalla MGM un riscatto per Madre Russia: roba che gli alieni sarebbero acqua fresca al confronto.
Trumbo e Ave, Cesare! sono film diversissimi: se il primo è un biopic serio ma non serioso raccontato nelle atmosfere del suo tempo, la commedia dei Coen si ammanta di toni leggeri, ma il risultato finale dell’effetto dei due lavori sulla percezione contemporanea del maccartismo e delle sue nefandezze è simile. Si capisce infatti quanto fosse innocua l’attività “comunista” presso gli sceneggiatori e quanto – dall’altra parte – fosse folle ed inadeguata la risposta della Hollywood maccartista. Se l’ideologia esisteva in maniera forte (Trumbo apparteneva a quei Hollywood Ten che si rifiutarono di testimoniare la propria appartenenza al partito comunista) questo non significava che mettesse a repentaglio il valore della macchina dei sogni. Perché Hollywood era – ed in parte lo è ancora – quella pazza, meravigliosa, contraddittoria e isterica generatrice di immaginari in grado di resistere a se stessa “nonostante” se stessa.