Rischia di crollare la “statale dei Trulli“, l’arteria principale che attraversa il cuore della Valle d’Itria in Puglia. La principale bretella di comunicazione stradale e commerciale tra lo Ionio e l’Adriatico potrebbe franare per colpa dei liquami fognari accumulati sotto il manto stradale per il malfunzionamento del depuratore di Martina Franca gestito dall’Acquedotto Pugliese (sequestrato il 9 febbraio) e che ora rischia di infliggere un colpo durissimo all’economia di un territorio che ogni anno è meta di migliaia di turisti. La magistratura ha disposto il sequestro senza facoltà d’uso di mezzo chilometro di statale in attesa che siano ripristinate le condizioni di sicurezza e il blocco del traffico fin dai primi minuti ha creato un significativo disagio non solo agli automobilisti, ma soprattutto ai conducenti di mezzi pesanti impossibilitati a viaggiare lungo la più importante via commerciale del territorio.
Dalle indagini svolte dal pubblico ministero Lanfranco Marazia, infatti, è “necessario inibire il traffico veicolare a tutte le categorie di veicoli, in quanto con le progressive sollecitazioni, si avrebbe il crollo della massicciata stradale, con ovvie conseguenze sugli utenti in transito”. Un provvedimento urgente eseguito poche ore fa dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Lecce a pochi giorni dal sequestro del depuratore che ha trasformato un angolo tra i più apprezzati della Puglia in una fogna a cielo aperto. I problemi di staticità della statale dei Trulli “sono da porre – si legge negli atti dell’inchiesta – senza alcun dubbio, in stretta relazione alla più volte stigmatizzata mala gestione dell’impianto di depurazione e all’assoluta inadeguatezza dello scarico attualmente in uso”.
Sono cinque le persone finite nel registro degli indagati: si tratta dell’ex amministratore delegato di Acquedotto pugliese Nicola Costantino e il suo successore Lorenzo De Santis, due dirigente di Aqp e il responsabile dell’Anas. Le accuse vanno dalla violazione delle norme ambientali a quelle per le forniture pubbliche, dallo smaltimento illecito di rifiuti speciali fino all’avvelenamento colposo delle acque che sarebbero state immesse nella falda e da qui sarebbero arrivate in almeno 5 pozzi situati in un raggio di circa 1 chilometro dalla struttura. Dagli accertamenti svolti dai militari agli ordini del tenente colonnello Nicola Candido, infatti, oltre al rischio di dissesto idrogeologico della strada statale è emersa la presenza di ferro, zinco, piombo, ma anche rifiuti organici e altre sostanze nocive nei pozzi di una parte della Valle d’Itria. Acqua avvelenata finita sui campi, ma anche nelle case di alcuni abitanti della zona. Il sistema di depurazione, infatti, era pressoché inesistente: “Persino ad un primo esame visivo ossia agli occhi di un profano – scrive il pm Marazia nel decreto di sequestro del depuratore – gli effluenti del depuratore si presentavano sotto il profilo della colorazione, della torbidezza e dell’odore identici ai reflui non trattati”.