Copenaghen. Lars Vilks tornerà in Danimarca per il primo anniversario degli attacchi terroristici nella capitale, datati 14 febbraio 2015. Il vignettista svedese “blasfemo” autore della celeberrima vignetta raffigurante Maometto con le sembianze di un cane, tra le 15 e le 17 di sabato 13 febbraio, sarà a Christiansborg, il palazzo del potere danese. Ad invitare l’artista che dal ’90 vive sotto scorta in luoghi segreti, il suo web-Comitato insieme al partito conservatore danese, Mai Mercado.
Un anno fa, il terrore in Danimarca. È San Valentino 2015 e il mondo occidentale è ancora stordito dallo shock per la strage nella sede parigina del giornale satirico Charlie Hebdo. Proprio in onore alle sue vittime, proprio sul tema “Libertà d’espressione-satira e blasfemia”, per stimolare un confronto su dove finisca l’una e inizi l’altra, viene invitato proprio lui, Vilks. Dovrebbe tenere un dibattito, blindatissimo, al centro culturale Krudttønden di Nørrebro. Omar Abdel Hamid El-Hussein però, 22enne naturalizzato danese ma di origini palestinesi, spara sul locale una grandinata di proiettili. Vilks si salva grazie alla sua scorta. Resta ucciso invece il documentarista Finn Norgaard, 55 anni. L’attentatore si dilegua in taxi. Nella notte il secondo attacco, alla sinagoga di Nørrebro. Vittima, lo stimatissimo sorvegliante ebreo Dan Uzan, 37 anni. L’attentatore verrà braccato e ucciso dalla Polizia poche ore dopo. Da allora i Servizi segreti non hanno mai abbassato la guardia. Gli ultimi arresti lo scorso 4 febbraio, a firma del Ministro della Giustizia Søren Pind, sempre impegnatissimo a rassicurare i cittadini.
Caparbio orgoglio nazionale e crescente paura dello straniero. “Difenderemo la nostra democrazia… ci sono forze che vogliono colpire la Danimarca, schiacciare la nostra libertà di espressione… Non è uno scontro fra Islam e Occidente, fra musulmani e non musulmani”. Commentava così l’attacco la premier socialdemocratica Helle Thorning-Schmidt, che da allora però ha dovuto cedere il governo al centrodestra guidato da Lars Løkke Rasmussen, leader del partito liberale e interprete interventista dei contraccolpi dell’attentato. La strenua difesa dei valori del popolo danese, si è tradotta in una politica di massima chiusura verso lo straniero.
La paura “dell’altro” si legge a chiare lettere nel potenziamento spropositato della videosorveglianza, approntata con un numero di telecamere da surclassare Londra. La ripresa di un mercato immobiliare che premia chi ha un bene in luoghi prestigiosi, ha allargato la forbice tra ricchi e poveri come mai prima. I danesi hanno ricominciato ad indebitarsi, ma questo paradossalmente li fa sentire più ricchi. Il Centro Studi Militari dell’Università di Copenaghen conferma in testa al barometro delle minacce contro la Danimarca, gli attacchi informatici islamici, finalizzati allo spionaggio delle istituzioni pubbliche. Nella logica “musulmano uguale migrante”, l’inasprimento delle leggi sull’accoglienza che ne è seguito, è nota al mondo.
L’estate scorsa il Ministro per l’Integrazione Inger Støjberg, scoperto da Frontex che i trafficanti di uomini informano con un catalogo le diverse opportunità offerte dai Paesi ai profughi, ha dimezzato l’assegno di sussidio destinato ai rifugiati equiparandolo a quello degli studenti, sostenendo che l’emergenza umanitaria avrebbe eroso l’economia nazionale; ha introdotto tra i requisiti per l’accoglienza l’attitudine ad imparare la lingua danese; ha irrigidito ulteriormente le leggi per il ricongiungimento famigliare. E soprattutto, ha fatto pubblicare in quattro giornali libanesi altrettanti slogan che descrivevano la Danimarca come Paese difficile e inospitale. Infine, il recente ripristino dei controlli alle frontiere e la legge che dispone il sequestro dei beni “di lusso” dei profughi, per compensarne le spese di assistenza. Ora la sfida della satira.
di Michela Danieli