Fiumicello, funerali di Giulio Regeni

Dove sono finiti i patrioti a ore che lanciavano strali e minacce contro l’India perché non libera i due marò? Dove i La Russa, i Gasparri e gli altri fratelli d’Italia che invocavano sanzioni d’ogni genere, l’orgoglio nazionale, il primato della civiltà? Dove gli striscioni che penzolano da molti palazzi istituzionali con i volti dei due militari italiani? Dove? Non importa, è stato ucciso barbaramente soltanto un ragazzo, Giulio Regeni, e non importa neppure molto che sia italiano, era un ragazzo. Uno che per mestiere aveva scelto lo studio, non la guerra, che aveva la passione per la politica, che cercava di capire. Non era un militare, però e quindi non degno di attenzione da parte delle destre nazionali. Tornano alla mente le parole della Ballata di un eroe di Fabrizio De André:

E quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinsero a cercare la verità
ora che è morto la patria si gloria
d’un altro eroe alla memoria

A Giulio nessuno aveva ordinato di andare avanti, c’è andato spinto dalla curiosità, dal rigore del ricercatore, ma proprio perché, a differenza dell’eroe della canzone, non aveva né mostrine né stelle, non avrà nessun riconoscimento dalla patria. La morte (o l’arresto) di uno o più militari impegnati in missioni militari all’estero diventa automaticamente un evento ufficiale: le bare vengono avvolte dalla bandiera tricolore e ad accoglierle al loro arrivo in Italia, c’è sempre il Presidente della Repubblica che rende omaggio ai caduti. Il tutto regolarmente trasmesso dalle televisioni nazionali.

Non c’era invece nessun politico ai funerali di Pasquale Romano, ragazzo napoletano ucciso, per errore, il 15 ottobre 2012 da killer della camorra. “Che Paese è quello che non ha sentito il bisogno di andare in massa alla fiaccolata per Lino Romano? E il governo, perché non è andato ai funerali? Avrebbe dato un segnale fondamentale. In questi territori manca giustizia, istruzione, ordine pubblico, lavoro, impresa, l’ambiente è a pezzi: tutti i ministri avrebbero trovato cose da dire e, soprattutto, avrebbero avuto molto, moltissimo da ascoltare”, ha scritto Roberto Saviano.

In Italia muoiono ogni anno sul lavoro più di mille persone. A causa di quel lavoro su cui si dovrebbe fondare la nostra Repubblica, secondo la Costituzione. Quasi mai si è vista la partecipazione ai loro funerali delle massime cariche politiche. Non è accaduto per i sette operai morti nel rogo della Thyssen-Krupp il 6 dicembre 2007, non è accaduto per i moltissimi caduti nei cantieri edili e nello svolgimento di altre professioni.

A diventare immortali, per lo Stato, sembrano essere solo le anime di chi è morto combattendo. A dispetto degli articoli 1 e 11 della Costituzione è quindi la retorica bellico-militare a dominare l’immaginario Repubblicano e a essere celebrata il 2 giugno di ogni anno. La società civile (quindi non militare) ne è esclusa, come a dire che lo Stato si pensa e si vuole rappresentare solo nella sua veste “muscolare”, di depositario esclusivo della forza militare.

Giulio Regeni è stato barbaramente ucciso, forse da apparati dello stato egiziano, ma per i fautori patrioti di casa nostra non rappresenta il nostro di Stato, perché non indossava una divisa, non aveva mostrine e stellette. Era un civile, un cittadino, uno di quei tanti giovani ricercatori che dovrebbero garantire un futuro all’Italia. Uno dei tanti cittadini che formano la nostra società e forse è un bene che non il suo ricordo non sia offuscato dalla retorica stantia che esalta a priori chi fa la guerra e ignora chi semplicemente fa il suo lavoro.

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