Viviamo tempi post-ideologici, in cui le idee politiche stanno ai margini della nostra vita quotidiana. Viviamo tempi pragmatici, individualisti e disincantati. Tutto vero. Ma visto che il mondo è bizzarro assai, ecco che la politica spunta dove meno te lo aspetti: al Festival di Sanremo.
Parlare di Sanremo politico quando c’è Carlo Conti di mezzo sembra una sciocchezza. E invece no, perché questo Sanremo 2016 è stato politico anzicheno, non grazie a Carlo Conti, ovviamente, ma nonostante Carlo Conti.
#SanremoArcobaleno, con la sua carica rivoluzionaria (sì, in Italia è rivoluzionario indossare dei nastrini rainbow sul palco), è partito dal Web, grazie ad Antonio Andrea Pinna, al suo appello agli artisti, alla sua potenza di fuoco sui social. È stata una valanga che è partita piano piano, con un fiocco di neve trasformatosi in una di quelle palle di nevi enormi da cartone animato, che passa e travolge tutto. Nella serata di venerdì si è schierata persino Madalina Ghenea (unica tra i conduttori), con vistosi nastri colorati al polso.
Gesto politico, dunque, sul palco all’apparenza più frivolo e disimpegnato d’Italia. In fondo è pur sempre la vetrina per eccellenza, e nessun evento riesce a veicolare un messaggio con la stessa potenza. Sanremo dice sì alle unioni civili, e il messaggio sarà arrivato anche a Roma, dove si continua a discutere con battaglie di retroguardia che nemmeno in Corea del Nord.
Sembrava un Sanremo sorprendentemente di sinistra (ce lo aspettavamo renziano, non di sinistra), fino a quando sul palco non è salito Giovanni Toti, ex giornalista e ora governatore della Regione Liguria. A lui spettava il compito di premiare il vincitore delle Nuove Proposte, e ha deciso di farlo indossando il fiocco giallo che ricorda la vicenda giudiziaria (e diplomatica) dei due marò arrestati in India per aver sparato a due pescatori locali scambiandoli per pirati. Un messaggio che almeno teoricamente potrebbe essere al di sopra delle solite divisioni politiche, ma che negli ultimi anni è stato fortemente connotato da pennellate di nero (politico), svuotandolo anche degli eventuali contenuti condivisibili.
Povero Toti, però. Visto che alla fine si è trovato a dover premiare Francesco Gabbani, che indossava vistosissimi nastri rainbow che hanno fagocitato (sul fronte dell’immagine, non dell’importanza) il nastrino giallo per i fucilieri di marina.
Potrà sembrare assurdo, ma non è stata la presenza di Toti la cosa più “de destra” della serata di ieri. Il monologo di Enrico Brignano, infatti, era denso di sessismo, maschilismo, volgarità, con continui riferimenti alla genitorialità “tradizionale” e con un campionario di luoghi comuni sul rapporto tra donne e uomini che farebbe sembrare una illuminata progressista persino Costanza Miriano.
Bilanciamento voluto, dopo serate di “frocismo” militante? Chissà. Di sicuro c’è che da un Festival che doveva essere renziano (e lo è tantissimo nella forma), è venuto fuori qualcosa di più sinistrorso, con una correzione a destra venerdì sera. Ma forse è proprio questo che dimostra plasticamente l’alto contenuto renziano del Sanremo contiano: sinistra e destra, tutti insieme appassionatamente. C’è spazio per tutti nel Partito della Nazione, figurarsi al Festival. È un renzismo alla Mario Brega, che “po’ esse fero (marò e Brignano) e po’ esse piuma (#SanremoArcobaleno e Cirinnà)”.