Gli agenti della postale sotto copertura devono riuscire a parlare come i loro bersagli. Con l’aiuto di uno psicologo
C’è una ragazzina che, come tutte le sue coetanee, è spesso al computer. Su Facebook condivide i selfie e le foto che scatta con le sue amiche. Ha 12 anni e da qualche anno gioca a pallavolo. Sul social network viene contattata da un’altra ragazza: lei pratica lo stesso sport. Le due chattano, diventano amiche, raccontano quello che succede in palestra, durante le partite e nello spogliatoio.
Trappole per adolescenti
L’altra ragazza è più grande, una leader. Presto si trasforma in una guida per la 12enne, un esempio da seguire. Così quando le propone di scambiarsi foto in intimo, scattate nello spogliatoio della palestra, alla ragazzina sembra tutto normale. Spesso gioca con le amiche: si mette in posa, si fotografa davanti allo specchio. Perciò scatta le foto e gliele invia: la leader dice che le servono per fare un collage con una frase. Poi glielo regalerà.
Solo un po’ di tempo dopo la Polizia Postale scoprirà che dietro quell’account si nasconde un 40enne. E lo scoprirà grazie alla denuncia di una delle vittime. L’uomo aveva creato una vera e propria rete di ragazze, amiche tra loro, costringendole a inviare foto sempre più compromettenti. Poi le ricattava minacciando di diffonderle se non avessero ubbidito. “E lo faceva nel modo più subdolo, diceva ad ognuna che avrebbe diffuso la foto di una loro amica. Faceva leva sul legame e sulla lealtà che, in adolescenza, è molto forte”, spiegano. Minacce incrociate che venivano fatte a chilometri di distanza.
La trappola architettata dall’uomo viveva solo online. Dai social network era riuscito a ricostruire il legami tra le ragazze e a ricattarle, costringendole così a inviargli materiale per nutrire il suo archivio.
Questa storia di esche sul web, senza molti particolari per tutelare l’anonimato delle minorenni, le racconta la Polizia Postale. La sede centrale italiana è in grandi palazzi specchiati della Polizia di Stato, di fronte a Cinecittà, a Roma. In una delle sezioni, lavorano due divisioni: quella che si occupa di informazione e prevenzione dei rischi online e quella specializzata in indagini sul web. Al Cncp, il Centro Nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete, il governo destina ogni anno una buona fetta dei fondi. È un centro all’avanguardia, collabora con il mondo accademico e delle ricerca, ci sono centinaia di computer, di agenti, ed è specializzato in formazione e addestramento. “Abbiamo un’area di analisi immagini – spiega Carlo Solimene, primo dirigente della Polpost e direttore della seconda divisione investigativa –, una zona dedicata al monitoraggio della rete e una alla creazione di black list, ovvero la lista di siti da chiudere e oscurare che viene fornita agli internet provider che li ospitano. E poi c’è l’area degli agenti sotto copertura”. Chiedo di poter parlare con uno di loro. “Non si può – mi dicono – dobbiamo tutelare il loro lavoro. E loro stessi”.
Imparare il linguaggio dell’orrore
Così in una delle stanze, incontro Cristina Bonucchi, che fa parte dell’Unità di analisi del crimine informatico. È una psicologa, da anni affianca chi svolge le indagini dando supporto psicologico e criminologico. Dice che il lavoro di chi è sotto copertura non è facile: bisogna entrare in contatto con i criminali, soprattutto con i pedofili. Imparare a parlare la loro lingua, studiare i loro comportamenti, conquistare la loro fiducia.
Gli agenti devono fingere di provare le stesse pulsioni e devono farlo in modo credibile. E per farlo, bisogna studiarli attentamente, creare schemi di comportamento. “Dal nickname allo slang – spiega la Bonucchi – ogni azione deve essere credibile fino in fondo, altrimenti c’è il rischio di essere scoperti. I pedofili online non sono degli sprovveduti e hanno una sorta di manuale.
Gli agenti, invece, devono parlare tutti la stessa lingua e le indagini, le attività e i modi in cui vengono svolte devono essere uguali in tutti i centri che ci sono in Italia”. Da qualche anno, mi spiegano, i pedofili si sono spostati nella darknet (lo abbiamo raccontato nella puntata del 2 gennaio). “Qualcuno ha instillato in loro la certezza che questo spostamento avrebbe garantito l’anonimato – dice Solimene – Non è così. È più difficile, ma non impossibile essere scoperti. Per questo esistono gli agenti sotto copertura”. Che devono avere requisiti specifici: elevate competenze informatiche, capacità investigative e soprattutto grandi doti comunicative: nella darknet il lavoro sotto copertura è essenziale.
Proprio dall’Internet profonda, nel 2014 la Polizia Postale ha infatti arrestato dieci persone e ottenuto tre condanne dopo un’operazione durata tre anni. L’indagine, con Europol e Fbi, era stata chiamata The sleeping dogs dal nome di un famoso videogioco usato da uno degli agenti per agganciare l’utente che poi gli ha aperto la strada. Videogioco che, oltretutto, raccontava proprio la storia di un agente sotto copertura, infiltrato nella mafia cinese.
Tra gli arrestati, c’erano persone tra i 24 e i 63 anni: impiegati di banca, liberi professionisti, operai specializzati, prevalentemente provenienti da nord e centro Italia. “Sono persone insospettabili – spiega Solimene – Ma se si scava un po’, ci si accorge che spesso hanno anche tre o quattro vite diverse”. In molti casi, poi, chi viene indagato o arrestato ha famiglia e figli. “Noi interveniamo anche e soprattutto in quei casi – dice Patrizia Torretta, psicologa co-responsabile dell’Uaci – quando si fa irruzione in una casa o si va ad arrestare qualcuno, bisogna tener conto della presenza di minorenni. Tutelarli, studiare quale sia il miglior modo di intervenire. Gli agenti a volte, nella foga, non si accorgono che potrebbero esserci bambini spaventati. Una mossa sbagliata e la loro vita potrebbe essere condizionata per sempre”.
Le nuove competenze della perversione
I pedofili hanno diversi comportamenti. Ci sono gli abusanti e chi invece si limita a guardare e a scaricare materiale. C’è chi ha sensi di colpa ma compulsioni incontenibili e chi addirittura fa teorizzazione culturale. “Una pratica che per fortuna è reato. I siti che giustificano e incitano alla pedofilia sono inseriti nelle black list. Sono quasi complici di chi abusa”.
Con la darknet tutto si complica. I pedopornografi hanno pian piano sviluppato ottime competenze informatiche, sono lucidi, le loro pulsioni sono meno istintive e più organizzate. “Per tutto questo ci aspettavamo di trovare agenti sotto copertura provati, cinici, rovinati dall’orrido che incontrano nel loro lavoro – dicono le due psicologhe – E invece non è stato così. In un modo o nell’altro, queste esperienze li hanno resi amanti della vita. Stare a contatto con il peggior prodotto dell’umanità incide in modo positivo, fa capire loro che esiste una gerarchia di valori, comprendono che per fare meglio bisogna sospendere il giudizio: in questo lavoro è fondamentale trasformare l’energia negativa in motivazione e ostinazione a dare il massimo. Altrimenti ne resti schiacciato”.