Altro che sofferenze e bail in. Per tutte le banche europee, e non solo per quelle italiane, c’è una grana che potrebbe costare, in teoria, centinaia di miliardi di euro e che la Commissione europea, in grave imbarazzo, non sa come gestire. Si tratta della gigantesca truffa sull’Euribor, il tasso di riferimento a cui sono agganciate le rate dei finanziamenti a tasso variabile. Nel dicembre 2013 l’Antitrust europea, guidata dal vicepresidente della Commissione Joaquìn Almunia, ha multato per 1,7 miliardi di euro quattro grandi banche, Barclays, Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland e Société Générale, per un accordo di cartello finalizzato a manipolare l’Euribor. Da allora quella sentenza è segretata. La sua pubblicazione aprirebbe le cataratte dei risarcimenti. Un avvocato italiano, Andrea Sorgentone, collegato all’associazione Sos Utenti, sta preparando un ricorso alla Corte di Giustizia europea contro il successore di Almunia, la commissaria Margrethe Vestager.
Le ragioni dell’imbarazzo sono evidenti. La multa affibbiata da Almunia, poi ridotta a poco più di un miliardo dal patteggiamento, è basata sulla “confessione” della Barclays, che pentendosi si è guadagnata il perdono. A maggior ragione rimane fermo quanto accertato: per almeno tre anni, dal 2005 al 2008, l’Euribor è stato truccato. Chiunque avesse debiti a tasso variabile o derivati legati all’andamento dei tassi ha pagato alle banche (a tutte le banche, non solo alle quattro colpevoli) più del dovuto.
L’Euribor (Euro Inter Bank Offered Rate) misura gli interessi che le banche si pagano per i prestiti tra loro. Viene rilevato quotidianamente con un sondaggio telefonico tra alcune decine di banche di un panel. Le possibilità di manipolazione del risultato sono intuitivamente ampie.
Mentre Bruxelles continua a indagare su altre banche, gli strascichi giudiziari sono pesanti. A Londra si è appena aperto il processo penale contro 11 operatori finanziari di varie nazionalità. A Trani il magistrato specializzato Michele Ruggiero ha aperto un fascicolo per truffa. E in numerosi tribunali civili d’Italia e di tutta Europa stanno partendo raffiche di cause per ottenere dalle banche i risarcimenti.
La faccenda è talmente grossa che Commissione Europea e governi nazionali – normalmente pronti alla zuffa su tutto – hanno trovato facilmente una tacita intesa sullo stendere un velo di silenzio e scansare il problema. E si capisce il perché: secondo Il Sole 24 Ore la manipolazione dell’Euribor riguarda una massa di prodotti finanziari (dai derivati ai mutui casa) superiore ai 400 mila miliardi di euro, circa 200 volte il debito pubblico italiano. Se le banche europee dovessero restituire anche solo l’1 per cento di quella cifra, si troverebbero di fronte un conto da 4 mila miliardi di euro.
Per avere un’idea delle dimensioni del caso basta l’esempio dei mutui casa italiani. Tra il 2005 e il 2008 si può stimare che le famiglie italiane con mutuo a tasso variabile fossero indebitate con le banche per circa 220-230 miliardi e che in quegli anni abbiano pagato, per la quota degli interessi commisurati all’Euribor, circa 30 miliardi. Secondo le ipotesi di Sorgentone sulla manipolazione dell’Euribor, 16 di quei 30 miliardi dovrebbero essere restituiti. Ma c’è anche l’ipotesi più estrema, sostenuta da Antonio Tanza, legale dell’Adusbef: l’irregolarità renderebbe nulli i contratti di mutuo e le banche dovrebbero dunque restituire, come minimo, tutti i 30 miliardi.
Nel 2013, Almunia annunciò la severa decisione con parole di fuoco: “La cosa scioccante dello scandalo Euribor non è solo la manipolazione degli indici, ma anche la predisposizione di veri e propri cartelli tra un certo numero di attori della finanza. Vogliamo trasmettere chiaramente il messaggio che la Commissione è determinata a combattere e a multare questi cartelli del settore finanziario”. Ma dal giorno dopo gli uffici di Bruxelles hanno opposto un vero e proprio catenaccio alle pressanti richieste di pubblicare la sentenza, per poterla esibire ai tribunali.
Sorgentone ha fatto la sua prima richiesta due anni fa, nel gennaio 2014, e gli fu risposto che la “versione pubblica” non era ancora pronta.
Dopo molte insistenze, il 28 ottobre scorso l’avvocato italiano ha ricevuto una lettera piuttosto perentoria del direttore generale della direzione Concorrenza, il tedesco Johannes Laitenberger, braccio destro della Vestager. La richiesta di accesso agli atti è stata respinta per due ragioni. La prima è che la divulgazione del documento “arrecherebbe pregiudizio” alle indagini ancora in corso contro altre banche. La seconda è che le regole europee tutelano la riservatezza delle banche condannate: con la sentenza verrebbero divulgate “informazioni strategiche circa i loro interessi economici e le operazioni e lo sviluppo dei loro affari”. È vero, ammettono gli uomini della Vestager, che questo diritto alla riservatezza soccombe di fronte all’interesse pubblico, ma Sorgentone ha chiesto copia della decisione sul caso AT/39914 per usarla nella causa di un suo singolo cliente contro la Banca Nazionale del Lavoro.
E nella sua domanda “non ha addotto argomenti che consentano di individuare un interesse pubblico prevalente”. Roba da Azzeccagarbugli: per la Direzione Concorrenza va dimostrato l’interesse pubblico in una sentenza che riguarda milioni di risparmiatori e aziende di tutta Europa e può valere migliaia di miliardi di euro.
Non si tratta di maltrattamenti riservati agli italiani. Anche la società tedesca Edeka Handelsgesellschaft Hessenring ha fatto identica richiesta, ha incassato identico diniego e ha fatto ricorso. Sorgentone si è rivolto all’ufficio Trasparenza del Segretariato generale della Commissione europea, inutilmente. Dopo ripetute lettere dilatorie, tre giorni fa il capo dell’ufficio Martin Kroeger gli ha scritto che “la procedura volta a ottenere una versione non riservata della Decisione è ancora in corso” e che “non è al momento possibile prevedere esattamente quanto tempo sia ancora necessario”. Sono passati due anni e due mesi e ancora Bruxelles sta trattando – con le banche condannate – i termini di pubblicazione della sentenza. E adesso avete capito perché.
da Il Fatto Quotidiano del 14 febbraio 2016