La National Basketball Association è un posto molto riconoscente. E così, tra l’infinita parate di stelle di oggi e domani che hanno sfilato all’Air Canada Center, ogni fotografo è andato a cercare l’uomo che ha dominato il recente passato di questa lega: Kobe Bryant. La leggenda dei Los Angeles Lakers ha concluso con 10 punti e 7 assist il suo 18esimo All Star Game (secondo per presenze dopo Kareem Abdul-Jabbar), l’ultimo prima di lasciare l’amato parquet.
È stata una partita inusitatamente normale per il giocatore più votato dai tifosi Nba, che hanno scelto i due quintetti titolari, e in fondo dimostra la grandezza del “mamba nero” in una gara che ha polverizzato ogni record collettivo e individuale. Al di là di ogni residuo di agonismo. Il match di domenica notte tra i big delle due conference ha chiuso l’All Star Game di Toronto, il primo fuori dai confini americani.
Con ogni probabilità non l’ultimo, dato che il commissario della lega David Silver ha fatto intuire che l’evento è esportabile e che prima o poi, nella logica globale in cui si muove lo sport business americano, potrebbe sbarcare in Europa. Il punteggio finale di una sfida che si è conclusa alle cinque orario italiano, seppure possa sembrare un fake, è 196-173 per la Western Conference. Record di ogni tempo per punti segnati, nemmeno a dirlo. Quelli della costa pacifica, dove senza dubbio il tasso di talento e competizione interna è superiore, bissano il successo dello scorso anno. Stesso discorso per Russell Westbrook, il marziano degli Oklahoma City Thunder, che è di nuovo Mvp grazie a 31 punti, 8 rimbalzi e 5 assist. Un premio che, nonostante la sconfitta, avrebbe meritato anche Paul George, autore di 41 punti e della seconda prestazione individuale più prolifica dopo i 42 di Wilt Chamberlain del lontano 1962.
Ma nella contesa c’è stata gloria per tutti: Lebron James e Kobe sono stati celebrati nella loro grandezza con la sfida sulla contesa iniziale mentre i due fenomeni del momento, Steph Curry e Klay Thompson, sono stati sommersi dagli applausi quasi quanto gli idoli di casa Lowry e DeRozan. Senza dimenticare che, oltre ai già citati, altri cinque giocatori (Durant, Curry, Harden, Davis e Wall) hanno superato i 20 punti. La difesa in un appuntamento di questo tipo non è più nemmeno un optional, prendere o lasciare. Eppure fino al termine del terzo quarto, dove già la boa dei 150 punti a squadra era già ampiamente in vista, è stato un incontro equilibrato, strappato da quelli dell’Ovest solo nell’ultima frazione. Come al solito, più del solito, è stata una spettacolare sequenza di balistica ed evoluzioni in volo. Mixati a momenti di autocelebrazione del marchio Nba e del gioco, inventato 125 anni fa dal canadese James Naismith, ai selfie di star come Drake, Spike Lee o il miglior giocatore del Super Bowl Von Miller nelle prime file, all’intrattenimento musicale. Il match della notte è stato solo l’apice di una tre giorni di fuochi d’artificio.
L’All Star Weekend era iniziato venerdì con il Rising Stars Challenge, la sfida tra i migliori atleti al primo e secondo anno tra i professionisti, vinto 157 a 154 dai nativi americani contro i colleghi provenienti dall’estero. Copione classico fatto di azioni individuali e latitanze nella propria metà campo, che ha visto l’esordio (con sconfitta) dell’italiano Ettore Messina, vice di coach Popovich a San Antonio, sulla panchina del “Resto del mondo“. Lo spettacolo si è alzato di tono sabato, che ospita da sempre il momento più atteso del lungo fine settimana. Prima è andata in scena la gara del tiro da tre, in passato vinta anche dal nostro Belinelli, teatro del confronto più ovvio e appassionante. Quello tra i compagni di squadra Curry e Thompson, che con la maglia di Golden State nelle ultime stagioni stanno riscrivendo la storia e talvolta persino le regole del gioco. Lo scorso anno aveva vinto Steph, al momento il numero uno del pianeta, quest’anno è toccato a Klay.
Semplicemente irreali per meccanica di tiro e sicurezza nei propri mezzi i due, che mantengono ormai medie da esibizione anche durante la regular season. Infine la kermesse delle schiacciate, che si è accesa con il testa a testa tra Zach LaVine (Minnesota Timberwolves) e Aaron Gordon (Orland Magic). Ha vinto il primo, che è campione per due anni consecutivi come già Michael Jordan, Jason Richardson e Nate Robinson. Ma la sfida tra questi ragazzi, che è salita di livello a ogni salto, è stata decisa solo ad oltranza. Nei primi tentativi le performance di Gordon sono parse più innovative, alla fine i giudici hanno deciso di premiare il pazzesco atletismo di LaVine. In ogni caso un duello bello come non si vedeva da parecchio tempo. Con l’All Star Game in archivio, in settimana parte la seconda e decisiva parte della stagione Nba. Al momento nessuno, nemmeno i magnifici Spurs di Kawhi Leonard, paiono in grado di infastidire il “repeat” di Golden State. Ma ai playoff può cambiare tutto. Per quanto riguarda la partita delle stelle l’appuntamento è per domenica 19 febbraio 2017 a Charlotte. Non ci sarà, se non da spettatore Kobe Bryant. Ci sarà da protagonista Michael Jordan, proprietario della locale franchigia Nba, che a Toronto ha ricevuto la sua dose di applausi e il testimone organizzativo.