Ci sono volute 92 conferenze di servizi e un totale di 950 elaborati progettuali. Per non parlare dei 94 decreti che, negli anni, si sono occupati della questione. Una mole di lavoro enorme che, tuttavia, non è bastata ad evitare le desolanti conclusioni sullo stato di avanzamento dei lavori di bonifica nel Sito di interesse nazionale (Sin) di Venezia-Porto Marghera della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti presieduta da Alessandro Bratti del Pd. Affidate ad una relazione, curata dai parlamentari-relatori Paolo Arrigoni (Lega Nord), Miriam Cominelli (Pd), Michela Rostan (Pd) e Albero Zolezzi (M5S), che sarà discussa oggi pomeriggio in Aula a Montecitorio.

VENT’ANNI DI BONIFICHE – Il Sin oggetto della relazione era stato incluso nell’elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale già nel 1998. Si tratta dell’area nella quale hanno operato nel tempo aziende quali Montefibre, Syndial, Dow, Polimeri Europa, Transped, Edison, Eni Spa, Interporto di Venezia Petroven, Api e Alcoa Trasformazioni. E la cui superficie totale si estende oggi su 1.621 ettari. E sulla quale inquinamento e dissesto ambientale si sono accumulati negli anni. Il 16 aprile 2012, è stato sottoscritto dall’allora ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, dal Magistrato alle acque di Venezia, dal presidente della Regione del Veneto, dal presidente della Provincia e dal sindaco di Venezia, oltre che dal presidente dell’Autorità portuale del capoluogo veneto, l’accordo di programma per la bonifica e la riqualificazione dell’area. In forza del quale, la Regione Veneto si è impegnata “a realizzare alcuni tratti di marginamento finalizzati a chiudere le due macroisole del Nuovo Petrolchimico e di Fusina”. Mentre il completamento di tali opere, da parte della Regione Veneto, sarebbe avvenuto con finanziamenti del ministero dell’Ambiente. Alla competenza del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche del Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, sono state, invece, assegnate i restanti interventi di messa in sicurezza (marginamento delle macroisole, rifacimento delle sponde, sistema di raccolta-drenaggio delle acque), ad eccezione di quelle affidate all’Autorità portuale.

POZZO SENZA FONDO – Ma la fotografia scattata dalla Commissione d’inchiesta con la relazione trasmessa ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, è impietosa. La relazione punta il dito, tanto per cominciare, contro il sistema dei controlli mai esercitati “sul sistema di assegnazione” dei subappalti (e “sulla congruità dei corrispettivi” pagati) “da parte del Consorzio Venezia Nuova”, che oltre alla realizzazione del Mose (il sistema elettromeccanico di protezione della laguna dal fenomeno dell’acqua alta) doveva occuparsi anche della messa in sicurezza delle sponde lagunari. Ad eccezione di quelle della macroisola portuale. E’ stata proprio l’assenza di controlli da parte dell’ufficio del “provveditorato interregionale (del Triveneto) per le opere pubbliche, nella veste di committente dei lavori, per conto dello Stato”, a consentire allo stesso Consorzio “di assegnare gli appalti alle ditte consorziate, in violazione della normativa sulle gare d’appalto, del codice sui contratti pubblici e delle direttive europee”. Tra le opere prese in esame dalla Commissione d’inchiesta, ci sono quelle per la realizzazione dei marginamenti delle macroisole di Porto Marghera. Si tratta di interventi che, attraverso l’istallazione di sistemi di drenaggio a ridosso delle sponde, puntano a costituire una barriera anti erosione e anti infiltrazione delle acque inquinate. “Sinora, lo Stato ha sostenuto la spesa complessiva di 781,6 milioni di euro, con la realizzazione di circa il 94 per cento delle opere previste”, ricorda la relazione. Mancano ancora all’appello “circa 3-3,5 chilometri di marginamenti e di rifacimento delle sponde”. Più o meno l’equivalente di un 5-6 per cento di opere ancora da eseguire per le quali, tuttavia, la spesa necessaria per portarle a termine tocca la considerevole cifra di “circa 250 milioni di euro”. Vale a dire “oltre il 30 per cento di quella sinora sostenuta dallo Stato, per realizzare il restante 95 per cento delle opere” già realizzate. Un picco di spesa che “si spiega con la lievitazione dei costi”, anche tenuto conto che “i marginamenti da completare e rifinire sono quelli più complessi”. Una situazione di fronte alla quale, sostiene la Commissione d’inchiesta, “non si comprende del tutto la ragione della parcellizzazione (cioè la suddivisione in piccole parti, ndr) delle competenze nell’esecuzione delle opere di marginamento e di rifacimento delle sponde delle macroisole lagunari, suddivisa tra il Provveditorato, la regione del Veneto e l’Autorità portuale, posto che tutte le spese sono a carico del ministero dell’Ambiente, cioè, a carico dello Stato”. Ma a prescindere dalle motivazioni che hanno determinato una scelta simile, a preoccupare di più è il risultato che ne è derivato. Perché ad oggi “il mancato completamento” delle opere “sta provocando il progressivo indebolimento anche dei tratti terminali delle strutture già realizzate” mettendo “in serio dubbio la bontà complessiva degli interventi finora realizzati”, che tra l’altro “sono stati eseguiti non a regola d’arte”. Insomma, conclude la Commissione lanciando l’allarme, “se non verranno reperiti nuovi fondi per completare sia i marginamenti delle macroisole, sia il sistema di depurazione delle acque di falda”, il rischio è che vadano “dispersi tutti gli oneri sinora sostenuti dallo Stato”.

SPERPERI E COLLAUDI INUTILI – Il problema è che, ad oggi, i soldi non ci sono. Anche a causa delle spese sostenute nel tempo per l’esecuzione di “collaudi parziali”, effettuati cioè “su ciascun manufatto realizzato” (banchina, per esempio), nell’ambito delle attività di bonifica del Sin di Venezia-Porto Marghera, per i quali lo Stato “ha finora sostenuto un esborso di 1.544.510,39” euro. Una somma che, “anche se spesa male e inutilmente”, si legge nella relazione, “può apparire non eccessiva solo se parametrata sull’importo dei lavori sinora collaudati” pari a 586.989.935 euro. Ma il quadro cambia considerevolmente “se si considera che l’importo complessivo delle spese sostenute dall’Erario per i collaudi parziali effettuati anche per il Mose” ha raggiunto “la cifra di circa 15 milioni di euro”. Una somma “che, da sola, se diversamente impegnata, avrebbe potuto fornire un contributo significativo al completamento delle opere di marginamento, di competenza della Regione Veneto, nelle macroisole di Fusina e del Nuovo Petrolchimico”. Al riguardo, le conclusioni della Commissioni d’inchiesta sono impietose. “Appare evidente che l’unica ragione, che sorregge la nomina di decine di commissioni di collaudo per singoli manufatti o per gruppi di manufatti realizzati, è stata quella del preminente interesse dei collaudatori”, seppur debitamente autorizzati, “a percepire i relativi compensi”. Del resto, accusa il documento, “il lungo elenco di dirigenti ministeriali e locali nominati, inserito in questa relazione, costituisce la piena conferma di una precisa scelta di fondo, protrattasi per tanti anni”. Secondo la prospettazione del Provveditore per le opere pubbliche del Triveneto, scrivono ancora i relatori, “i collaudi parziali” – sebbene non possano essere “in alcun modo sostitutivi del collaudo finale” dell’intera opera – “sono stati autorizzati dal suo ufficio e poi effettuati”, proprio “in sostituzione del collaudo finale”. Conclusione: “I collaudi effettuati sui singoli manufatti realizzati, e non sull’opera nel suo complesso, nonostante tecnicamente inevitabili, rappresentano, nel caso specifico, un mero sperpero di danaro pubblico, in quanto si tratta di collaudi del tutto inutili se non seguiti dalla verifica della funzionalità complessiva dell’intera opera eseguita”.

Twitter: @Antonio_Pitoni

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