Le due finali di Sanremo guidate da Carlo Conti hanno fatto notoriamente il pieno di chiunque fosse in qualche modo interessato all’evento. Questo è il significato del 50% di share, che equivale a 25 milioni di contatti, cioè di persone che dall’inizio alla fine o limitandosi a vedere una frazione del tutto, hanno fatto da platea. Il risultato dell’insieme delle cinque puntate è del tutto simile a quello dell’anno precedente e semmai sarebbe di qualche inezia inferiore non fosse per la serata di mercoledì, la seconda, che l’altro anno fu in tono minore mentre quest’anno ha retto il passo delle altre e non ha rovinato la media.

Giocando fra politica e show, noi giovedì scorso (“Sanremo della Nazione”) e Aldo Grasso giusto ieri (“spartito della Nazione”) abbiamo immaginato una qualche analogia fra il pragmatismo renziano e il funzionalismo della creatura di Carlo Conti. Per quanto ci riguarda avevamo in mente il confronto con l’edizione guidata da Fabio Fazio nel 2014 e realizzata, se non ricordiamo male, dalla collaudata equipe di Che Tempo che fa. Fu, di tutte, quella forse meno seguita dal pubblico e concluse con una finale al 40%. Certo Fazio piace a chi ne apprezza il porgersi quasi ritraendosi. Una astuzia retorica che funziona benissimo con quelli che condividono i tuoi codici espressivi e culturali, ma che ha più difficoltà a creare un ponte con chi è molto diverso da te. Ma il problema non poteva essere qui, perché lo stesso Fazio in passato aveva condotto edizioni trionfali, come quella del 1999, la cui finale registrò la media del 64% di share, con quindici milioni di spettatori. Altri tempi, certo, non c’era Sky e neppure Netflix a togliere di mezzo una bella fetta di pubblico, ma anche tenuto conto delle differenze, quel risultato d’allora equivale senza dubbio a quello delle edizioni ultime condotte da Conti.

Cosa è cambiato da allora? Forse è accaduto che con la edizione di Fazio del 2014 si sia manifestato l’esaurimento della spinta propulsiva e della forza retorica del Festival in quanto tale (del resto i vari talent gli hanno tolto da tempo l’esclusiva) e che Conti sia riuscito a metterci una pezza inglobando il Festival dentro uno show televisivo anziché prestare la tv alla struttura del Festival. Insomma, negli ultimi due anni la tv non ha ospitato il Festival, ma se lo è mangiato, nel senso che lo ha completamente assoggettato ai propri codici. Da qui il successone rispetto all’edizione di Fazio, tra il pubblico giovanissimo (+15%, di maschi e femmine), e tra le giovani donne (+18%). Proprio quelli che forniscono la platea più costante ed esperta ai vari Tale e Quale eccetera e che (tra scansioni certe, pezzi di bravura, rigore liturgico, ritmi industriali) hanno ritrovato quel che giornalmente più apprezzano nella tv. In un Teatro Ariston che finalmente sembrava uno studio televisivo.

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